Come le Regioni sono diventate strumento di controllo della spesa sanitaria

Come le Regioni sono diventate strumento di controllo della spesa sanitaria

Diritto alla salute e economia

Parte Seconda: dal nuovo Titolo V al pareggio di bilancio

Nel 2001, in attuazione del principio di autonomia finanziaria stabilito dall’art. 119 della Costituzione, il Titolo V della Carta venne modificato costituzionalizzando il federalismo fiscale. L’idea di fondo, che sposava le esigenze di oculata gestione della spesa a favore della tenuta dei conti pubblici, era che lo spostamento di una parte della potestà fiscale agli enti territoriali avrebbe assicurato, mediante una più diretta rappresentanza, una maggiore responsabilizzazione degli organi di governo degli enti decentrati in relazione al reperimento delle risorse necessarie al loro finanziamento, e un migliore utilizzo delle risorse disponibili. Nell’arco temporale che va dal 2010 al 2019 la crescita economica italiana fu bassa. Per questa ragione le risorse destinate alla sanità subirono una contrazione in rapporto al Pil. I governi che si sono succeduti nel periodo considerato, ancorché abbiano aumentato in termini nominali la spesa sanitaria, hanno dotato il servizio sanitario nazionale di un finanziamento inferiore persino all’inflazione media annua, realizzando un sostanziale definanziamento per un importo stimato in 37 miliardi di euro. Alla vigilia di quel decennio venne emanata la l. n. 42/2009, cd. “delega sul federalismo fiscale”, che responsabilizzava tutti gli attori istituzionali nell’esercizio del potere di spesa fissando i criteri generali per le politiche finanziarie quali il rispetto dei vincoli di bilancio imposti dai trattati internazionali (art. 17). Il decreto legislativo attuativo n. 68/2011 sanciva a decorrere dal 2013 la “soppressione” dei trasferimenti in favore del c.d. fabbisogno sanitario nazionale standard determinato annualmente, con una scelta politica in senso proprio. Inoltre, stabiliva una suddivisione tra le funzioni rientranti nei livelli essenziali delle prestazioni (cd. “L.e.p.”) di cui all’art. 117, comma2, lett. m), Cost. il cui finanziamento integrale veniva garantito, e le funzioni non essenziali.

Nel 2001 il Titolo V della Costituzione viene modificato all’interno di un processo di trasformazione dello Stato in senso federale che è tutt’ora in corso Il conferimento di funzioni e competenze alle Regioni si è rivelato un formidabile strumento di controllo della spesa pubblica, anche sanitaria.

E’ bene ricordare che nell’ottobre del 2009 la Commissione europea avviava una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia, indice dell’inefficacia dei meccanismi interni utilizzati sino ad allora a contenere la spesa. Nel biennio 2010-2011 i paesi mediterranei dell’Unione Europea – tra i quali l’Italia, con la c.d. “crisi dello spread” – venivano colpiti dalla crisi del debito sovrano. A questa crisi, le istituzioni comunitarie risposero con un aggiornamento del Patto di stabilità e crescita che tra le altre cose prevedeva un irrigidimento dei vincoli di finanza pubblica e del relativo sistema sanzionatorio, con l’adozione del “Six pack”. Impegni tutti puntualmente assunti dal nostro paese con la sottoscrizione del c.d. Fiscal Compact (2 marzo 2012). Tale accordo vincolava le parti ad avere un bilancio pubblico in pareggio o in avanzo e, relativamente all’andamento della spesa pubblica, poneva la c.d. regola sull’evoluzione della spesa, un dispositivo che collegava l’aumento del tasso di crescita della spesa pubblica al tasso di crescita del PIL potenziale. Sulla base dei dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato, nel periodo che va dal 2013 al 2019, (ossia fino alla circostanza eccezionale della pandemia da Covid-19 che ha comportato una sospensione controllata del Patto di stabilità), il rapporto indebitamento netto/PIL in Italia è stato inferiore al 3%. Peraltro, nel maggio 2013 il Consiglio Europeo abrogava la decisione sul deficit eccessivo per l’Italia per sopravvenuta ed integrale correzione dello stesso e da allora nei confronti del nostro Paese non è stata più attivata una procedura per deficit eccessivo. L’Italia ha avuto finalmente i “conti in ordine”.Tutto ciò è stato possibile grazie al coordinamento e l’equilibrio della finanza pubblica raggiunto con l’impianto federalista che ha reso gli enti territoriali, comprese le Regioni, corresponsabili del raggiungimento degli obiettivi assunti dall’Italia in sede Europea. Tale responsabilizzazione è stata realizzata estendendo agli enti territoriali i vincoli di bilancio imposti al Governo nazionale. In particolare, la partecipazione delle amministrazioni regionali agli obiettivi di finanza pubblica assunti dall’Italia in sede europea è avvenuta dapprima in base al c.d. Patto di stabilità interno, che poneva sanzioni a carico degli enti inadempienti per la quota ad essi imputabile. Successivamente, con la sottoscrizione del “Fiscal compact” nel 2012 e del c.d. principio di pareggio di bilancio, per Regioni ed altri enti locali l’equilibrio finanziario si considera rispettato se, in sede di rendiconto, viene conseguito un risultato di competenza non negativo, ossia se le entrate accertate risultano pari o superiori alle spese impegnate. Fermo restando che il mancato obiettivo del pareggio di bilancio determina l’applicazione di pesanti misure sanzionatorie e dei c. d. piani di rientro. Pare evidente che l’evoluzione in senso federalista del nostro Paese abbia conseguito nel periodo 2013 – 2019 l’obiettivo del concorso delle Regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito pubblico. Gli obiettivi di bilancio sono stati raggiunti grazie a una politica di stanziamenti oggettivamente insufficienti anche per quanto riguarda la sanità. Le ricadute sociali di questo rigido controllo della spesa (mancati investimenti, assunzioni, ecc.) non hanno tardato a presentarsi agli italiani sotto forma di disservizio cronico – se non di mancato funzionamento – che affligge molti settori della la sanità pubblica.

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Redazione Proposte UILS