Turismo, Italia al bivio tra rilancio economico e atavici vizi della classe imprenditoriale
Il paradigma di un Paese irrimediabilmente borderline, nobile e accattone insieme, deve essere radicalmente rivisitato e presto smentito, pena il crollo verticale della nostra credibilità in Europa
Turismo, Italia al bivio tra rilancio economico e atavici vizi della classe imprenditoriale
Le prime settimane di riapertura sono state dolorosamente connotate dal disastro in vetta al Mottarone, cui si è aggiunta poco dopo la beffa del mancato pagamento milionario dell’IVA dall’olandese Booking
Citando Primo Levi, “se non ora, quando?” è l’interrogativo che è lecito porre rispetto alle prospettive di ripartenza del comparto turistico, da più parti definito strategico e primario nel quadro del rilancio nazionale.
Il titolo del romanzo leviano è ispirato a un aforisma del Talmud, che nella sua interezza recita così: “Se io non sono per me, chi è per me? E, se io sono solo per me stesso, cosa sono? E se non ora, quando?”. Ben inteso, nessuna analogia è ipotizzabile tra le lotte partigiane narrate da Levi e l’attualità dominata dal Covid-19: ciò detto, l’urgenza di rinascita e di rifondazione, allora essenzialmente umana e oggi economica e strutturale, che la paratassi del Talmud esprime in modo formidabile, dovrebbe essere in cima all’agenda del settore del turismo, che muove i primi passi dopo un interminabile annus horribilis.
Eppure, lungi dall’essere incoraggiante, la cronaca recente ci obbliga a fare i conti con i peggiori costumi nazionali, prima con il tragico incidente della funivia piemontese del Mottarone e poi con l’accusa di evasione fiscale notificata dalla Guardia di Finanza alla società olandese Booking, indiscusso leader mondiale delle prenotazioni online di strutture ricettive.
“Se io sono solo per me stesso, cosa sono?”
Il noto caso piemontese è drammaticamente emblematico di un malcostume radicato, che stavolta ha provocato una strage: quattordici persone sono decedute e l’unico sopravvissuto è un bimbo di cinque anni, che nello schianto ha perso i suoi familiari più stretti. L’ipotesi della tragica fatalità, avanzata nelle prime ore successive all’evento, è stata presto smentita dai rilievi della Polizia Scientifica e dalle graduali ammissioni degli indagati e dei testimoni. Non è interesse di questo articolo attribuire responsabilità penali di un’indagine ancora in pieno svolgimento, ma, a oltre un mese da quel dannato 23 maggio, un dato è solare: i freni di emergenza che avrebbero evitato la sciagura sono stati intenzionalmente messi fuori uso per mezzo dei cosiddetti forchettoni, ovvero due staffe di metallo (rosse, non per caso, in quanto devono richiamare l’attenzione degli addetti) che impediscono la chiusura delle ganasce, utilizzate di norma quando la funivia è all’ultima corsa della giornata. Al contrario, l’inchiesta della Procura ne ha ampiamente dimostrato l’impiego diffuso e sconsiderato, in spregio di ogni minima misura di sicurezza.
Si noti che la proprietà dell’impianto è pubblica, ma la gestione è affidata alla società privata Ferrovie del Mottarone, di cui sarebbe interessante contare gli incassi dal 26 aprile 2021, quando il Governo ha consentito la riapertura: poche migliaia di euro a fronte degli oltre 400.000 del 2019. A questo dato si aggiungano le ingenti perdite indubbiamente sofferte a causa della pandemia e, non ultima, la direttiva ministeriale che imponeva la riduzione al 50% della capienza massima delle cabine: in questa travagliata ripresa post-pandemica, la tacita scommessa sembra corrispondere a una corsa forsennata per recuperare gli utili perduti, trovando nel fatturato la ragione di vita per chi ha sofferto mesi e mesi di chiusure forzate. Se, tuttavia, la rapida ripresa delle attività è indispensabile e improcrastinabile, gli utili non possono scavalcare la sicurezza delle persone, semplicemente perché si tratta di un inaccettabile baratto.
“Se non ora, quando?”
Si ponga ora attenzione al caso della piattaforma olandese Booking, che si iscrive nel medesimo solco delle cattive pratiche del turismo e del primato assoluto del denaro. La Guardia di Finanza di Genova ha contestato una colossale evasione di oltre 150 milioni di euro al gigante del web, che sarebbe reo di non aver versato parte dell’IVA dal 2013 al 2019.
La notizia è dello scorso giugno, ma l’avvio dell’indagine data al dicembre 2018: secondo quanto riportato da “Il Sole 24 ore”, essa ha fatto emergere l’abuso dell’istituto del “reverse charge” o inversione contabile, in base al quale il saldo dell’IVA è a carico dell’acquirente. Peccato che Booking lo abbia applicato anche a clienti (specialmente host extralberghieri) privi di partita IVA e quindi esenti dal saldo del conto con il fisco, con la conseguenza che l’imposta non è stata dichiarata né versata in Italia. Per di più, Booking avrebbe anche omesso sia di nominare un proprio rappresentante fiscale che di registrarsi in Italia, non presentando la relativa dichiarazione e ottenendo così la totale evasione dell’imposta sia in Italia che in Olanda.
Questa discutibile condotta prefigura un danno duplice: da una parte, il mancato rispetto delle regole di mercato e la concorrenza sleale verso gli operatori che pagano regolarmente le tasse; dall’altra, la sottrazione di gettito all’erario e dunque all’intera collettività.
La svolta di domani inizia adesso
In Italia il turismo rappresenta un volano indispensabile al rilancio dell’economia. L’opportunità di rifondazione imposta dalla pandemia non può essere sperperata a favore d’imprenditori scellerati o disonesti: al contrario, questi devono essere ridotti in minoranza e sperabilmente estromessi dal mercato, affinché sia smentita la lugubre previsione di Paolo Volponi nelle sue “Mosche del capitale”: “L’industria italiana non pensa a svilupparsi ordinatamente: alla ricerca, alla perfezione della propria organizzazione, dei propri prodotti, a un confronto aperto e leale con il mercato, con la cultura industriale, con l’università… pensa alla propria comodità, nel senso che esclude queste reali ipotesi di ricerca per restare nell’ambito dell’esercizio del comando e basta… Produrre quel che sa produrre, vendere quel che sa vendere”.