Come nella storia biblica di Davide e Golia, la Palestina resiste al colonialismo del gigante Israele.
Il conflitto fra Hamas e Israele scoppiato nel maggio scorso è fra i più sanguinosi registrati negli ultimi anni.
Secondo un rapporto redatto dall’ong Human Rights Watch Israele sta perpetrando dei crimini contro l’umanità in Palestina. La comunità internazionale rimane in silenzio, mentre i palestinesi resistono come meglio possono all’occupazione.
IL conflitto fra Hamas e Israele
Il ciclo di violenza iniziato il 10 maggio di quest’anno e che ha visto coinvolte le due fazioni di Hamas e Israele è stato fra i più intensi che si possano annoverare negli ultimi anni. Per il direttore dell’ufficio di corrispondenza della BBC in Medio Oriente Jeremy Bowen si è trattato della quarta grande guerra fra Hamas e Israele dal 2008.
Negli scontri hanno perso la vita 256 palestinesi, 66 dei quali bambini e 13 israeliani, fra cui due bambini. A fare da catalizzatore lo sfratto di sei famiglie palestinesi a Sheikh Jarrah nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania.
Il 21 maggio è arrivato un cessate il fuoco, ma il 16 giugno Hamas ha inviato dei palloni incendiari in Israele che hanno riacceso le ostilità fra le due parti.
Un cessate il fuoco che rischia quindi di diventare solo una breve pausa fra questa e la prossima guerra che scoppierà fra le due fazioni.
Lo stesso Bowen ha affermato che “se lo status quo non cambia favorevolmente, ci sarà un altro round”.
D’altra parte la cosa non ci sorprenderebbe affatto.
Sono anni infatti che il popolo palestinese subisce vessazioni di ogni genere da parte dello stato di Israele, ma da qualche tempo a questo parte le cose stanno rapidamente degenerando.
Il rapporto di Human Rights Watch
Come evidenziato dal recente rapporto pubblicato il 27 aprile di quest’anno dall’ong Human Rights Watch “A Thresold crossed: Israeli Authorities and the Crimes of Apartheid and Persecution” “Una soglia superata: le autorità israeliane e i crimini di apartheid e persecuzione” i palestinesi nei territori occupati sarebbero oggetto di profonde ingiustizie e abusi perpetrati dai funzionari israeliani come “restrizioni radicali al loro movimento; confisca delle terre su vasta scala;l’imposizione di dure condizioni che hanno portato migliaia di palestinesi a lasciare le loro case in condizioni che equivalgono a un trasferimento forzato;la negazione dei diritti di residenza a centinaia di migliaia di palestinesi e ai loro parenti”.
Per decenni Israele ha portato avanti politiche simili, ma mentre in passato le autorità avevano insistito sul fatto che lo status quo, specialmente nei territori occupati, fosse temporaneo, negli ultimi anni la crescente espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, l’approvazione nel 2018 della legge sullo stato-nazione del popolo ebraico e la dichiarazione di intenti di annettere parti aggiuntive della Cisgiordania hanno messo in luce con inequivocabile chiarezza l’intenzione di mantenere il dominio degli ebrei israeliani sui palestinesi in modo permanente.
Come si legge nel rapporto “la gravità e la natura del comportamento specifico delle autorità israeliane hanno varcato una soglia e costituiscono crimini di apartheid e persecuzione”.
E’ la prima volta in cui un importante e stimato organismo internazionale per la difesa dei diritti umani si esprime con tanta franchezza muovendo accuse di questa portata nei confronti di funzionari israeliani.
Accuse alla quali naturalmente Israele ha risposto con il classico atteggiamento negazionista di sempre affermando che i dati a cui fa riferimento il rapporto sono “assurdi e falsi” e che HRW “da tempo porta avanti la sua agenda al fine di promuovere il boicottaggio di Israele”.
Al di là delle solite manie persecutorie e del vittimismo ostentato da Israele in queste circostanze è ormai sotto gli occhi di tutti chi siano gli oppressi e chi gli oppressori in questa vicenda.
Quella che i Palestinesi stanno infatti subendo da decine di anni è una occupazione coloniale a tutti gli effetti e quello che è avvenuto lo scorso mese potrebbe essere nulla a confronto di ciò che avverrà se Israele, come aveva già annunciato lo scorso anno, procederà in modo sistematico all’annessione illegale dei territori della Cisgiordania occupati militarmente nel 1967.
I palestinesi non sono disposti ad arretrare di un solo passo fino a che le loro rivendicazioni non saranno accolte ovvero “Uno stato palestinese ai confini del 1967 con Gerusalemme come capitale” come dichiarato più volte da Abbas.
Rivendicazioni più che legittime, ma che Israele non sarà mai disposto ad accettare.
Come ci si può aspettare allora che il conflitto finisca?
Certamente non si potrà mai risolvere la questione mediorientale se prima non si parte dalla chiara e forte presa di coscienza che l’attuale governo israeliano è un governo colonialista, razzista e imperialista. Uno Stato che sta mettendo in atto atroci politiche segregazioniste e che come tale andrebbe ostacolato e condannato.
Ma questa lo sappiamo, è pura utopia.
Le risposte della comunità internazionale
Manca completamente una risposta da parte della comunità internazionale e in particolare da parte del vigliacco Occidente.
Lo stato d’Israele è infatti libero di agire indisturbato con la complicità degli Stati Uniti, il loro più grande e storico alleato o per utilizzare una metafora ebraica il loro grande Golem.
A dimostrazione di quanto detto basti pensare all’ultimo accordo ratificato dall’amministrazione Trump e dall’ex premier israeliano Netanyahu sulla questione mediorientale.
Un vero e proprio schiaffo a mani aperte alla dignità e alla sovranità territoriale del popolo palestinese il cui territorio secondo la mappa concettuale contenuta nel piano verrebbe ridotto in tante piccole frazioni che sono state efficacemente paragonate ai Bantustan del regime sudafricano dell’Apartheid.
La nuova amministrazione Biden nel corso degli scontri di maggio aveva invitato entrambe le parti ad un cessate il fuoco, ma a parte questo per ora niente sembra essere cambiato.
D’altra parte l’amicizia di lunga data fra Israele e Stati Uniti difficilmente potrebbe incrinarsi solo per il cambio di un presidente qualsiasi e il rischio è che nei futuri negoziati l’ago della bilancia continui sempre a propendere in modo evidente verso Israele.
A ciò si aggiunge poi la contrarietà espressa da Washington nel marzo di quest’anno di fronte alla decisione di aprire un’ indagine sui crimini internazionali commessi da Israele nel territorio palestinese occupato dal 2014 da parte della “Corte Penale Internazionale” (CPI).
Una scelta che gli Stati Uniti hanno motivato in un comunicato stampa dichiarando che un futuro pacifico per il medio oriente “dipende dalla costruzione di ponti e dalla creazione di nuove vie di dialogo e scambio, non da azioni giudiziarie unilaterali che esacerbano le tensioni” e rinnovando il loro sostegno a Israele.
Un’argomentazione che vorrebbe sembrare in un certo senso edificante, ma che altro non è se non l’ennesimo, prevedibile atto di vassallaggio politico da parte dell’amministrazione Biden verso il potente amico mediorientale.
Insomma considerando questi presupposti per ora non si intravede nessuno spiraglio di cambiamento, nessuna luce in fondo al tunnel.
Ma una cosa è certa. La dignità e i diritti del popolo palestinese non sono in vendita e questo i palestinesi lo sanno benissimo.
La storia ci insegna che non sempre i conflitti che appaiono più sbilanciati si risolvono a favore di colui che era stato dato per favorito e che a volte la caparbietà con cui un piccolo popolo combatte per vedere riconosciuti i propri più basilari diritti può vincere anche contro le ingiustizie più atroci.
Nessun altro popolo in questi ultimi anni ha dimostrato di avere la stessa caparbietà e la stessa determinazione dei palestinesi che hanno continuato coraggiosi a resistere e a lanciare sassi contro chi, armato fino ai denti, li cacciava dalle proprie case e nessuno più del popolo palestinese merita questa vittoria.