La “nuova moda” della Fashion Law
Negli ultimi decenni la Fashion Law è diventata una materia “alla moda” nelle università e ha formato oggetto di studi specifici, sia teorici che pratici, nonché di master, corsi di formazione e convegni.
Una nuova disciplina giuridica
Questa nuova disciplina giuridica è nata su iniziativa di Guillermo Jimenez e Barbara Kolsun, che nel 2005 hanno creato un Committee on Fashion Law presso il Fashion Institute of Tecnology (F.I.T.). Già al primo incontro del Comitato hanno invitato importanti avvocati specializzati in fashion per raccogliere informazioni e consigli sulla materia. Il Fashion, infatti, era molto cresciuto nella pratica, ma non aveva ricevuto attenzione come materia di insegnamento nelle università e non era stato oggetto di approfonditi studi contenuti in trattati e manuali professionali.
Ma l’industria della moda era danneggiata da questa diffusa disinformazione e nel 2010 è stato pubblicato per la Fairchild Publishing il primo manuale su Fashion Law. A questa guida legale sulla moda hanno poi fatto seguito numerosi altri testi e le facoltà di legge hanno inaugurato corsi sulla materia in diverse città degli Stati Uniti e, successivamente, in diversi paesi del mondo.
Che cos’è la Fashion law?
La Fashion Law non interessa soltanto gli studiosi del diritto, ma soprattutto gli stessi designers, imprenditori e operatori della moda che necessitano di conoscere e applicare le leggi statali e internazionali per tutelare i loro marchi e prodotti di moda.
Figlia della globalizzazione, essa nasce infatti proprio per supportare la fashion industry sulle più varie questioni legali che investono le fasi della produzione, della distribuzione, del marketing e della vendita al consumatore finale.
Si tratta di un complesso di regole concernenti soprattutto la proprietà intellettuale, le licenze, la lotta contro la contraffazione, le start up, le transazioni commerciali e le questioni tributarie, la regolamentazione del lavoro, il leasing, la pubblicità e il marketing, il diritto doganale e il commercio internazionale.
Se queste sono le tematiche classiche, negli ultimi anni la Fashion Law ha però allargato i suoi orizzonti anche a problematiche più attuali come l’impatto delle nuove tecnologie sulla distribuzione dei prodotti, le regole in materia di photoshop e il corpo delle/i modelle/i, la pubblicità nel mercato digitale, le tecnologie indossabili, la fast fashion e la sostenibilità, i codici etici e una sempre più accentuata responsabilità dei consumatori nelle loro scelte d’acquisto.
L’appropriazione culturale
Di particolare interesse riveste ultimamente anche la tematica dell’appropriazione culturale (cultural appropriation). Un’espressione entrata nell’Oxford English Dictionary nella sua edizione del 2018 per indicare “l’adozione non riconosciuta o non appropriata delle pratiche, dei costumi o dell’estetica di un gruppo sociale o etnico da parte dei membri di un’altra comunità o società (tipicamente dominante)“.
Ma si tratta di un termine che in realtà risale agli anni Quaranta (A. E. Christy, European cultural appropriation from the Orient, 1945), anche se è entrato nel linguaggio comune a partire dagli anni Ottanta. La lotta contro lo sfruttamento o appropriazione indebita di forme culturali, creative e artistiche di altri popoli è intesa principalmente quale critica all’espansionismo occidentale e a quelle forme di plagio che cercano di assumere le mentite spoglie della contaminazione e dello scambio culturale.
Michaela Giorgianni