Lo smart working ritorna eccezionale
Dal 15 ottobre lo smart working ritorna ad essere considerato eccezionale, marginale e per pochi. Tutti in ufficio, quindi, con Green pass. Il governo ha decretato come ordinario il lavoro in presenza dei dipendenti pubblici e in smart working solo una residua parte di lavoratori con particolari necessità.
Il lavoro da casa nella Pubblica Amministrazione torna, quindi, a essere l’eccezione e la presenza fisica la regola. Il ritorno in ufficio, sostenuto dall’obbligo del Green pass, consacra un ribaltamento di prospettiva ai tempi pre – Covid. Solo il 15% delle attività potrà essere svolta da remoto, a contrasto del 50% di lavoratori pubblici ancora in smart working. Dal quindici ottobre, rassicura il ministro per la Pa Renato Brunetta, sarà raggiunto l’accordo sulla regolamentazione dello smart working per tutti i dipendenti statali.
Se il tempo stringe, gli entusiasmi per la contrattualizzazione del lavoro agile sono frenati dalle ridotte possibilità e dalle restrizioni messe a bando: ai lavoratori in condizioni di particolare necessità, come disabili, caregiver e genitori a carico figli di età non superiore ai tre anni, sarà facilitato l’accesso allo smart working.
Per tutti gli altri si rientra in ufficio, con Green pass. Una fotografia paleolitica che incrimina, ancora una volta, lo strumento dello smart working come assistenziale e marginale solo per determinate categorie.
L’accordo individuale
Fino al 31 dicembre (data di fine periodo emergenziale) ogni amministrazione pubblica potrà chiedere a chiunque dei propri dipendenti di lavorare in smart working, ma dal 1 gennaio 2022 entrerà in vigore il limite del 15% delle attività in remoto.
Ogni ufficio dovrà, quindi, avere un suo piano organizzativo per il lavoro agile. Ora le norme prevedono che ogni amministrazione con più di cinquanta dipendenti entro il 31 gennaio di ogni anno rediga il Piao, il Piano integrato attività e organizzazione, con degli obiettivi strategici per la gestione del capitale umano e anche per il Pola, il Piano organizzativo di lavoro agile con la minima quota del 15%.
La bozza del contratto per le nuove normativizzazioni del lavoro agile, presentata dall’Agenzia per la rappresentanza negazionale delle pubbliche amministrazioni (Aran) e che dovrà essere valutata dai sindacati, permetterà di concordare la durata, il luogo e le giornate di lavoro in smart working. Laddove sussistano requisiti organizzativi e tecnologici, l’accordo individuale del lavoro agile si baserà su tre principi: l’operatività, la contattabilità e l’inoperabilità.
Se da un lato il lavoratore da remoto avrà finalmente diritto alla completa disconnessione, non potrà lavorare al di fuori dei confini nazionali. Non è, quindi, in cantiere la cancellazione integrale dello smart working, ma il superamento del lavoro a distanza nell’ottica emergenziale. Un rientro in ufficio graduale, dai lavoratori agli sportelli, e via via ai lavoratori del back office sia nelle amministrazioni centrali che in quelle periferiche.
I nodi da sciogliere
I presunti 100mila posti di assunzioni in Pa, hanno l’obiettivo di invogliare e richiamare i lavoratori alle attività in presenza. Andranno, però, chiarite le modalità di controllo e validità del certificato verde obbligatorio per svolgere il proprio lavoro in presenza.
Ad esempio, chi dovrà eseguire i controlli (un responsabile sicurezza interno all’azienda?) e con quale sistema, oppure seguire quello già utilizzato e protocollato dalle istituzioni scolastiche. Inoltre, il rischio è che non avere il Green permetta ai dipendenti pubblici di ottenere in via preferenziale lo smart working “obbligato”.
Un passo indietro per l’avanguardismo tecnologico
Quello della contrattualizzazione dello smart working rappresenta che un misero contentino rispetto un palese dietro front dall’avanguardismo tecnologico. Il lavoro da remoto non solo garantisce una semplificazione burocratica grazie al virtuale, ma una revisione positiva di tutto il modello organizzativo di un’azienda orientata alla produttività e al risparmio di tempo.
Considerare il lavoro in presenza come “normale” dimostra, ancora una volta, il retaggio culturale di chi ci amministra. La forzata e benevola alfabetizzazione digitale, dovuta alla pandemia, ha messo in luce l’immane gap tecnologico tra noi italiani e il resto d’Europa. Tutti gli sforzi compiuti per rimetterci al passo, soprattutto per la fascia di età over 50, sono serviti a ben poco.
Aspettiamoci, quindi, le lunghissime code a qualsiasi sportello amministrativo o la lentezza degli operatori che vogliono scambiare una chiacchiera piuttosto che portare a termine il proprio lavoro. Lo smart working non ci rende meno socievoli e più automatizzati, ma semplicemente più liberi di gestire il proprio tempo e di ottimizzare il proprio lavoro.