Il lavoro ci rende felici?
Benvenuti nella stagione delle grandi dimissioni volontarie, la “Great Resignation” all’italiana. Sorge, quindi, spontanea una domanda: il lavoro ci rende felici?
C’è un incremento significativo del numero di dimissioni sul mercato del lavoro italiano. Un picco di addii volontari al proprio posto di lavoro registrati nelle Note trimestrali 2021 sulle comunicazioni obbligatorie e pubblicate dal ministero del Lavoro. Dopo la pandemia si sarebbe abbassata, in Italia e nel resto del mondo, la soglia di tolleranza lavorativa che non rende appagati e felici i lavoratori spingendoli così a dare le dimissioni.
Dati alla mano
Tra il mese di aprile e giugno di quest’anno, si sono registrati 484mila dimissioni di cui 292mila da parte di uomini e 191mila di donne su un totale di 2,5 milioni di contratti cessati. Paragonata al medesimo trimestre dell’anno precedente, il numero di dimissioni è cresciuto dell’85%. Sempre secondo il rapporto, è particolarmente incisivo l’aumento dei licenziamenti spontanei per i contratti di lavoro di medio – lunga durata (di oltre un anno).
Tra i settori più colpiti è presente il comparto sanitario/sociale con +44%, quello metalmeccanico e di costruzioni al +16%, mentre al dettaglio e al comportato del turismo e dei servizi finanziari la variazione risulta ugualmente in ribasso sintomo di una trasversale difficoltà.
Differenze Nord e Sud
Un’altra importante evidenza, come da grafico, riguarda la netta differenza tra regioni del Nord e del Sud dove, Sardegna a parte, il trend delle dimissioni è largamente negativo. Al Nord, infatti, la riallocazione post-pandemia dei lavoratori e il processo di selezione da parte delle imprese ha ricevuto una migliore performance.
Il risultato, desumibile da dati rilevati, è che la crescita delle dimissioni è accompagnata – al Nord in particolare – da un parallelo incremento del tasso di ricollocamento in un ambito del lavoro, però, dipendente. Gli italiani sembrerebbero preferire lavori flessibili, autonomi e di mobilità geografica.
Per l’insieme dei dimessi nei primi otto mesi del 2021, il tasso di ricollocazione immediato è risultato al 54%, mentre sotto il profilo professionale, gli alti livelli di dimissioni si notano per gli infermieri al 74%, per i tecnici informatici e statistici al 70% e per i conduttori di mezzi pesanti e camion al 66%. L’incremento delle dimissioni è senz’altro consistente e trasversale a professioni e settori, interpretabile come effetto del ritardo dalla pausa pandemica.
La Great Resignation italiana: il lavoro ci rende felici?
Quello che sta accadendo in Italia è già stato registrato negli Stati Uniti: ondate di dimissioni dal lavoro che gli americani hanno chiamato la “Great Resignation”. Lavoratori esausti, che lavorano troppe ore al giorno e decidono di cambiare la propria situazione lavorativa seppur la retribuzione sia spesso elevata.
Il Covid-19, in America quanto in Italia, ha, quindi, funzionato come un grilletto. Questo fattore può essere letto come un miglioramento del sistema economico se l’assegnazione lavorativa che segue comporta un aumento di produttività. Moltissime persone hanno, quindi, avuto dei ripensamenti, dei momenti di riflessione, che li hanno portati a uscire dalla retorica del total work, l’idea che per valorizzarsi sia necessario dedicare l’intera vita al lavoro.
Per questo motivo, italiani e non, hanno deciso di lasciare il proprio impiego per trovarne uno migliore: più flessibile e soddisfacente. La ricerca del lavoro diventa più selettiva e determinante per la propria vita che lasci spazio alla famiglia, agli hobby e al relax.
Il valore del lavoro sembrerebbe cambiato e non correrebbe di pari passo con l’importanza del suo senso. Domande quali “il lavoro valorizza l’essere umano?”, “il lavoro ci rende felici?” – che l’essere umano si è sempre posto – si mostrano più assillanti in post – pandemia.
Di lavoro e lavoratori in Italia se ne parla tanto, forse, da una sbagliata angolazione. La stampa nazionale, purtroppo, tende a porre in primo piano il lavoratore dianzi a tragedie e a incidenti sul lavoro, in virtù, probabilmente, di una spettacolarizzazione del macabro.
Si parla tanto anche di pensioni e di nuove generazioni, ma di ciò che accade adesso e delle attuali condizioni dei lavoratori, invece, molto poco. Ascoltare il lavoratore e le sue scelte aiuterebbero a realizzare politiche pubbliche che incrementino i livelli di produttività del nostro paese, ad accompagnare nuovi trend del mercato del lavoro e, soprattutto e in egual modo, a garantire benessere a tutti i lavoratori.
Marzia Baldari