La mia libertà rafforza la tua.
Per pensare nuovi mondi ci servono nuovi modi di vivere come comunità.
Far circolare l’informazione partendo dalle voci delle persone è una forma di aggregazione sociale. Un punto di partenza per cercare nuove prospettive e stimolare la connessione tra individui e comunità. In un’intervista abbiamo incontrato Tobia Valentini, responsabile romano dell’Associazione nazionale antirazzista interetnica “3 febbraio” -A3f-[1], nata nel 1996 in occasione di una manifestazione in nome della libera circolazione e contro il razzismo.
Partire da riflessioni di emersione umana per comprendere categorie di discorso sulle quali si è abituati a non pensare se non partendo da chiavi di lettura fondate su pensieri troppo generici rischia di farci cadere in una rigidità di ragionamento, se non addirittura in involuzioni che si accostano e accompagnano al razzismo, su temi fondamentali del vivere collettivo come quello di ‘società multietnica’. Ma cosa può significare davvero multietnicità? E l’idea stessa di comunità, può essere pensata e utilizzata nei nostri discorsi come una categoria monolitica? Cosa significa cercare la libertà in un momento come questo, mentre si solleva con coraggio la voce delle donne e degli uomini iraniani in rivolta?
È il 10 novembre. E in quei giorni riecheggiano le parole del ministro Piantedosi riferite ai naufraghi bloccati sulle navi delle ong in attesa di sbarco in un porto sicuro nel quale essere finalmente soccorsi. Lo scontro con la Francia, gli attivisti di fronte al Viminale per chiedere il rispetto del diritto internazionale. Le parole “carico residuale” delle quali è bene non dimenticarsi. Accenno a quei fatti, all’uso delle parole. Provocatoriamente domando a Tobia quale sia l’arma di “distrazione di massa”dell’associazione 3 Febbraio.
Tobia risponde sorridendo. “Non credo che abbiamo bisogno di armi..io penso che l’informazione sia qualcosa da cui possiamo davvero provare a ripartire. Anche l’informazione pensata in un certo modo..l’informazione veicola moltissimo e dappertutto, però spesso è finalizzata a rassegnare le persone e a renderle più sole. Noi stiamo provando a pensare come l’informazione possa provare ad essere anche un motivo di aggregazione. L’associazione A3f che da sempre ha una storia antirazzista e interetnica, in questa fase vorrebbe informare su com’è la vita in vari paesi, quali sono le lotte, quali tipi di oppressione esistenti. Provando a farlo molto sinteticamente con brevi pezzi, brevi articoli, sul foglio ‘Solidarietà e convivenza’ e cercando di dare voce proprio a persone che vengono da vari luoghi su come sia la vita nei loro paesi d’origine. Lo produciamo in italiano, inglese e francese …ora conoscendo tanti giovani iraniani si potrebbe tradurre in farsi.. il mese scorso abbiamo scritto un volantino sulle tragedie e le alluvioni in Pakistan che è uscito in italiano e in urdu. Avere fratelli che collaborano e danno notizie sui loro luoghi d’origine può essere un modo per loro per informare e darci informazioni di prima mano.. e poi anche un modo per raggiungere tanti immigrati in questo paese infrangendo la chiusura che c’è fra le diverse comunità”.
Parlare di comunità di appartenenza è un tema importante. E non solo per le divisioni tra comunità. Si rischia infatti di svuotare di significato la parola ‘comunità’ nel senso che propriamente le appartiene. Come ci ricorda Tobia, comunità significa “stare insieme” e questo non è veramente così diffuso all’interno dei gruppi di appartenenza.
Quindi l’arma di distrazione di massa non può essere di massa. (Si ride).
“…stiamo provando a partire da chi da tempo condivide questo impegno e desidera che questo sia parte della propria vita da un punto di vista morale e valoriale. La questione dell’interetnicità secondo me è chiave per una prospettiva che non sia solo di solidarietà… in Italia vivono persone provenienti da molti paesi diversi. Però come vivono insieme? C’è un’idea di “integrazione” e questo vuol dire rinunciare alla propria cultura di provenienza e venire assimilati in una cultura “italiana” oggi discriminatoria e razzista. Questo porta le persone a pensarsi come stranieri…l’idea di interetnicità può significare essere persone con diversi luoghi di provenienza ma che si riconoscono come umane, che si riconosco non partendo dalle reciproche diffrenze. C’è una differenza sostanziale tra multietnicità e interetnicità.
Questa percezione che le persone straniere in Italia possono avere di sé può dipendere dal grado di consapevolezza sia individuale che sociale. Non vi è alcun automatismo nel riconoscersi in una comunità pur vivendo all’estero come stranieri. Quindi l’interetnicità è un’aspirazione alla quale la società può tendere? Che tende a superare la multietnicità?
“È un discorso da approfondire. Interetnicità per la società o per comunità di persone. Per me l’esempio è farsi un giro a Piazza Vittorio, che è ritrovo di stranieri di tutte le provenienze qui a Roma. Tendenzialmente li vedi raggruppati per provenienze. Se guardi invece come stanno insieme i bambini, ti danno una percezione diversa. Perché loro stanno insieme punto. Il fatto di avere origini diverse interessa il giusto, ovvero molto poco. Questo loro stare è qualcosa in più..anche da qui si può partire per pensare l’interetnicità che comunque tra adulti non è mai qualcosa di spontaneo, si tratta di sceglierla.”
Le stesse persone emigrate possono tendere all’autoghettizzazione. È un fenomeno da riconoscere.
“Sì.. che per le donne soprattutto è particolarmente pesante. Soprattutto per coloro che vengono da contesti molto patriarcali e molto oppressivi e si ritrovano in Italia isolate rispetto alla società e ancora più ghettizzate all’ombra di mariti, padroni, capi comunità, senza avere quella rete di relazioni che invece in posti dove si è molto più radicati si tende ad avere”.
A proposito di donne, con l’associazione e altre persone solidali avete costituito un comitato di solidarietà per un Iran libero.
Stiamo cercando di parlare di ciò che sta accadendo in Iran partendo dall’emersione umana, da questa ricerca di libertà molto al femminile. Stiamo cercando di incontrarci su questi contenuti e anche dando la possibilità di informare su come le persone in Iran stanno cercando la libertà..che può significare molte cose, lottare per poter mangiare insieme donne e uomini in una mensa universitaria, andare in giro per una città e distribuire piccoli biglietti, spesso di ridotte dimensioni in modo da non essere visibili, con scritto “Con i tuoi capelli sciolti al vento sei molto più bella”…anche piccole cose come queste dicono della ferocia che c’è in Iran. E questo quel che ci stiamo proponendo qui a Roma con il comitato che abbiamo appena fondato e che si chiama ‘Jîna’, che in curdo vuol dire ‘vita’ e che era il nome di Masha Amini. Vorremmo andare nelle scuole per far sì che i giovani in Italia si possano immedesimare in quel che i coetanei o ragazzi poco più grandi di loro vivono in Iran. Ciò che qui sembra normale, uscire il sabato sera, prendersi una birra insieme, tornare a casa in autobus…niente di tutto questo per una giovane in Iran sarebbe consentito, sarebbe legale. Anche rendendosi conto di quello che vivono persone in cui ci si può identificare maggiormente ci si rende conto del livello di oppressione, ma anche del coraggio di questa rivolta.
Come state affrontando la questione della libertà e della sua ricerca da un punto di vista politico-istituzionale e dei diritti fondamentali?
“Sono molto diverse le idee. Proprio parlando emergono queste differenze che in piazza non trapelano…c’è chi dice che è importante che in questo momento il regime cada e poi vedremo quel che verrà dopo, chi dice non sappiamo bene quale libertà cerchiamo e che devono però essere garantiti dei diritti minimi, chi parla di svolta democratica..le idee sono diverse…chi in modo molto problematico auspica un ritorno dello scià che comunque era un regime dittatoriale oppressivo.. sotto al quale si moriva per opporsi alla legge. (…) Secondo me le persone che stanno manifestando si potranno comprendere se capiranno che la libertà è qualcosa che nasce da dentro le persone e non qualcosa che viene concesso dagli stati. Se la libertà è una concessione statale, immediatamente viene ingabbiata in una forma, in delle regole e in delle leggi che sempre escludono altre forme di libertà. Invece se si da spazio alle persone per esprimere questa ricerca si potrà esprimere qualcosa di interessante, forse anche di inedito. Ed è quello che ci interessa approfondire e discutere nel comitato. Però c’è pure bisogno di riferimenti culturali per cercarla bene questa libertà, fare in modo che non sia solo una libertà individuale ma che sia per tutti e per tutte”.
Quale riflessione fa l’Associazione 3 febbraio su questa ricerca spontanea di modelli culturali, magari anche diversi da quelli della tradizione europea?
C’è chi dei riferimenti culturali li ha già, magari in una politica riformista, chi invece non vuole quei riferimenti e quei modelli e quindi è alla ricerca di qualcosa che ancora non c’è. Le differenze sono tante. Un ragazzo nel comitato ha condiviso con noi questa lettera dove dice che sì, noi stiamo cercando la libertà, ma è importante che ci diciamo cos’è la libertà, perché se diventa solo uno slogan… tutti dicono di essere per la libertà e magari lo sono, però poi hanno modi diversi di pensarla e non è detto che siano modi che possono andare bene insieme. Rispetto a questo, una donna che è nel comitato e che ha un’esperienza di lotte anche nella rivoluzione iraniana del 1979, dice che tutti parlano di libertà, pure uno come Berlusconi dice di essere per la libertà..e quindi bisogna andare più a fondo. E questo è un po’ quello che vogliamo proporci con loro. Possiamo dare voce alle lotte che ci sono e far sapere quel che sta succedendo…possiamo però anche sostenere una ricerca di riferimenti culturali per le persone con cui ci uniamo.
Qual’è invece l’insegnamento che arriva a noi da questa ricerca di libertà?
Spesso siamo abituati a pensare che le persone che reagiscono di fronte all’oppressione lo facciano solo per reazione..cioè quando il livello di oppressione diventa troppo forte. Però parlando dell’Iran possiamo guardare a ciò che avviene ribaltando i due termini. Il regime sta aumentando il livello di violenza perché le persone cercano la libertà. Prima ci sono le persone, che da sempre cercano la libertà, in ogni luogo e in ogni tempo..di fronte ad una ricerca così autentica, che non a caso vede come protagoniste le donne, il regime cerca di intervenire e impedire una ricerca che non potrà mai cancellare. È un proposito per essere noi più combattivi. Per non arretrare di fronte a un governo che, senza fare strani paragoni, anche qui discrimina, vuole mettere in discussione l’accesso all’aborto, negare la possibilità alle persone di migrare alla ricerca di un futuro migliore…inoltre avere un’idea di libertà separata dall’idea di bene può essere anche pericoloso. Perché si può pensare alla libertà come libertà di fare ciò che si vuole, in maniera individualista. Se bene e libertà li pensiamo insieme, ed è complesso da fare, si può aprire una strada in cui la mia libertà non inizia dove finisce la tua, ma nella quale la mia libertà rafforza la tua.