Dove regna la disinformazione vince la conoscenza.
Un appuntamento sul tema dell’immigrazione dopo la legge n.50
Transform!italia è una community di analisi e studio. Il tema dell’immigrazione occupa uno spazio di rilievo grazie ad un lavoro costruito in uno spazio di ricerca e divulgazione culturale. Ha promosso, insieme all’associazione ADIF, un incontro sui complessi temi dell’immigrazione. Sono intervenuti Sergio Bontempelli (Adif), Marcela Cruz (Sportello 49), Luca di Sciullo (Presidente IDOS), Sally Kane (Responsabile Nazionale Immigrazione della CGIL), Walter Massa (Presidente Nazionale dell’ARCI), Fulvio Vassallo Paleologo (ADIF).
Cacciare o regolarizzare? È una domanda forte quella contenuta nel titolo dell’incontro che si è tenuto in diretta web dopo la linea intrapresa dall’attuale governo sulla questione migratoria. Nasce dalla necessità di smuovere uno stato di rigidità e confusione, misto a propaganda, al quale assistiamo nello spazio mediatico e politico. Un grigiore ottundente che non permette di identificare i punti essenziali di un fenomeno complesso, che non solo non ha nulla di emergenziale, ma che è invece un dato strutturale del nostro Paese. E da molto tempo.
L’Italia è un paese di immigrazione da cinquant’anni, ci ricorda Luca di Sciullo, presidente del centro studi e ricerche Idos [1]. Lo è dal 1973. Il primo venticinquennio va dal ’73 al ’98, data fondamentale per il varo del Testo Unico sull’immigrazione, nel quale l’Italia ha guardato all’immigrazione nell’ottica dell’emergenza credendo che si trattasse di un fenomeno contingente.
“Dopo 25 anni ci siamo accorti che non era un fenomeno passeggero ma strutturale, come dicono gli esperti, e aveva bisogno di una legge quadro, organica. Ed ecco che uscì nel ’98. Che fu poi il risultato di tante mediazioni..ma nel ‘91 già avevamo avuto sentore della nuova lente attraverso la quale avremmo visto primariamente l’immigrazione nei successivi venticinque anni.”
Luca di Sciullo ricorda infatti il trattamento riservato agli immigrati albanesi che giunsero a Bari con la nave Vlora l’8 agosto 1991 [2]. Migliaia di persone furono ammucchiate nel porto in condizioni disumane e furono protagoniste di uno dei rimpatri più massici della storia dell’immigrazione italiana. Da allora ‘invasione’ sarebbe diventata la parola d’ordine, la lente con la quale avremmo visto l’immigrazione negli anni a seguire.
Problemi irrisolti.
Per Sally Kane, responsabile nazionale dell’immigrazione di CGIL, che orienta il focus del discorso all’ambito del lavoro, il problema dell’irregolarità è gravissimo e non può essere ignorato in quanto ha delle proporzioni enormi. Si stima infatti che vi siano oltre 600.000 persone senza permesso di soggiorno e che questo stia creando un problema nel mondo del lavoro nel suo complesso, in quella che è una vera e propria “produzione di irregolarità”.
Vi è inoltre un effetto a catena di dumping contrattuale fortissimo che porta ad una riduzione del diritto del lavoro per tutta la società. Le crisi di questi anni hanno portano a riduzione sistematica dei posti di lavoro, cassa integrazione e licenziamenti collettivi, mettendo in luce la fragilità di alcune categorie come quelle dei lavoratori immigrati e evidenziando anche il dumping tra aziende virtuose e aziende illegali. Questa quota di persone che restano nell’irregolarità è sempre la stessa dagli anni Novanta e c’è sempre la stessa necessità di regolarizzare. La necessità di circolazione delle persone riguarda l’Italia e l’Europa ed è fondamentale che molti lavoratori possano spostarsi liberamente al loro interno.
L’urgenza di un dibattito che parta dai fenomeni osservati, da un loro corretto inquadramento, e non certo da ideologie discriminatorie, è sentita proprio a partire dalla consapevolezza che attraverso la convergenza di competenze sia possibile tracciare una nuova agenda politica. Affinchè si possa proporre un progetto normativo in grado di rispondere ai reali problemi e alle sfide del futuro, allontanandosi da quelle che ormai sono mere strumentalizzazioni. Come intraprendere allora una nuova via per raggiungere tale obbiettivo?
L’introduzione della discussa legge n.50, il cd. ‘decreto Cutro’, non è una novità in termini di gestione delle politiche migratorie. Essa si innesta nella sequenza di provvedimenti legislativi che si sono succeduti nei governi precedenti, sommandosi ad un quadro giuridico che presenta non poche criticità. E che anzi aggiunge disordine al caos. Con conseguenze gravi per quanto concerne la certezza del diritto e il rispetto dei diritti fondamentali.
Nel suo intervento Fulvio Vassallo Paleologo, giurista e associato di ADIF, traccia una sintesi delle linee essenziali della nuova legge, facendo ben comprendere la fallacia dei cambiamenti che da essa verranno introdotti nel sistema di accoglienza dei cittadini immigrati, che avranno carattere emergenziale e di ulteriore provvisorietà. Rimarcando inoltre la difficoltà della sua interpretazione all’interno di un quadro giurico, quello sull’immigrazione, che si avvale di continui rimandi e che lascia spazio a grandi margini di discrezionalità e quindi di abusi.
Soprattutto in merito alle detenzioni amministrative e ai respingimenti al limite della legalità, per i quali l’Italia è stata condannata per ben due volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. E alla previsione che i richiedenti asilo possano finire con facilità nei CPR (Centri per il respingimento e il rimpatrio) nel periodo d’attesa che precede l’ottenimento della risposta alla domanda di protezione internazionale. Fatto inoltre ritenuto irrealizzabile data la scarsa capienza di posti negli attuali centri che ammontano ad oggi a 900 unità.
Pur parlando di un raddoppio, con la norma emanata si resterà sostanzialmente al piano Minniti del 2017, che prevedeva un aumento di posti in realtà mai realizzato anche a causa delle resistenze di Comuni e Regioni che vedono tali centri come indesiderabili sul proprio territorio. La nuova legge, appare quindi come una sorta di manifesto.
“Una macchina della clandestinità..che abolirà in molti casi il diritto d’asilo secondo la norma costituzionale che comprende la protezione umanitaria, e comprendeva la protezione speciale. Ci sono però ampi margini di ricorso nei tribunali.. e sentenze della Corte di Cassazione che dicono espressamente che il diritto alla protezione speciale prima, e alla protezione umanitaria poi, è sotto copertura costituzionale dell’art.10”.
Se seguirà dunque una pioggia di ricorsi a causa di quello che è un ulteriore pugno di ferro calato sulla realtà, come si dovrà reagire nell’affrontare la normativa nella quotidianità? Quella per esempio a cui si deve far fronte negli uffici dedicati all’immigrazione?
Sergio Bontempelli, membro di ADIF e direttore degli sportelli per stranieri nei Comuni della Provincia di Pistoia per la Cooperativa ARCA, parla della situazione italiana come un sorta di pantano, poiché giungere in Italia legalmente è quasi impossibile, e altrettanto difficile è poter regolarizzare la propria posizione.
“Gli ingressi per lavoro sono regolati dai decreti flussi, cioè per quello strano meccanismo che pretenderebbe non solo che una persona arrivi in Italia perchè assunta a migliaia di chilometri di distanza da un datore di lavoro che non l’ha mai visto né conosciuto, ma che entri addirittura nel periodo in cui il governo emana il decreto flussi… per lavoro si fa molta fatica ad entrare…sulle periodiche regolarizzazioni che sono state diminuite negli anni, nell’ultimo decennio ce ne sono state soltanto due, ne abbiamo visti gli esiti..in quello dell’ultima, fatta nell’agosto del 2021, le pratiche non solo non sono ancora concluse, ma non siamo nemmeno al 50% delle pratiche evase..bisogna domandarsi cosa significhi per una persona fare una domanda e aspettare per tre anni una risposta”.
Una situazione alla quale bisogna aggiungere la scarsa attenzione data ai ricongiungimenti familiari, di molto penalizzati a causa di una serie di oneri burocratici molto complessi e che di fatto rende agevole l’ingresso alle sole persone che abbiano parenti italiani.
“Le normative sull’immigrazione raccontano anche di come l’Italia costruisce sé stessa e la propria identità…stiamo costruendo una società familista. Che possiamo fare? Ovviamente serve una riforma complessiva delle politiche migratorie. Il Testo Unico sull’immigrazione compie tra poco la venerenda età di venticinque anni…ed è una legge da rifare secondo me quasi da zero.”
Per Sergio Bontempelli è però fondamentale non fornire alla politica l’alibi di potersi trincerare dietro la complesità di un disegno organico futuro, ma è possibile agire accanto ad un progetto di riforma sin da ora. Con piccole modifiche normative o addirittura a norme invariate.
Passare all’azione.
Una spinta innovatrice che giunge da più fronti sembra dunque oggi determinata a consegnare alla politica delle proposte concrete alternative e a porre al contempo quest’ultima di fronte alle proprie responsabilità, all’obbligo di doversi schierare su nuovi disegni normativi senza permetterle di nascondersi dietro giochi trasformisti. La politica dovrà questa volta decidere da quale parte stare.
Le iniziative a livello nazionale sono numerose. È il caso della “legge dell’ospite” promossa dall’associazione NaturaComune, dalla quale ha preso avvio dal 6 maggio scorso un percorso per la stesura di una legge di iniziativa popolare che parte dalle esperienze del modello Riace di accoglienza integrata ideato da Mimmo Lucano. E ancora dei dibattiti lanciati da alcune forze politiche insieme alla Rete dei numeri pari [3], un’importante realtà che raccoglie centinaia di associazioni per la lotta contro le diseguaglianze, intenzionata a ridefinire l’agenda politica sulle questioni sociali, tra le quali vi sono chiaramente anche quelle relative all’immigrazione.
Riflessioni e azioni che si muovono su scala macroscopica e al contempo in maniera diffusa, come nel caso di ARCI, corpo sociale intermedio capillarmente presente in tutte le principali città. Per Walter Massa, presidente nazionale, le proposte fatte devono diventare un percorso operativo.
“Con il lavoro che facciamo in tante e in tanti con i nostri corpi, mettendoli in mezzo, fisicamente proprio, a quello che è un razzismo di stato scelto e voluto ormai da troppi anni.”
Il Festival Sabir [4] organizzato da ARCI, che ha avuto luogo a Trieste – città simbolo di frontiera – ha fatto emergere una contestazione alla legge n.50 e al proclamato stato di emergenza non giustificato dai numeri. Occasione nella quale il presidente ha ricordato al Prefetto della città che al contrario “uno stato di emergenza c’è…perché sono venticinque anni che in questo Paese, sulla pelle delle persone, in questo caso migranti, si giocano le fortune dei partiti e della classe dirigente”. L’Italia ha influenzato l’Europa in questo unico caso e lo ha fatto negativamente lagnandosi di continuo sul fatto che si ospitino troppi migranti. Nessun dato attesta che tali affermazioni siano veritiere. Si mantiene nell’emergenza e nella repressione un fenomeno che altri Paesi hanno affrontato come investimento.
“Una riforma del testo unico sull’immigrazione deve essere costruita sin da subito da noi..è impensabile che lo faccia qualcun altro. Credo che siano giunti i tempi per un’iniziativa di legge popolare su questo tema..c’è un clima che non è quello che ci vogliono far credere i media”.
L’operato di Arci, così come quello dei corpi del terzo settore, deve continuare in termini di advocacy e di servizi offerti, ma anche di elaborazione politica sul territorio, dove realtà come quella di Sportello 49 di cui Marcela Cruz è portavoce, toccano dal vivo il grave problema della mancata regolarizzazione dei cittadini e lavoratori stranieri. Dove si lotta contro un sistema farraginoso chiaramenete predeterminato e al quale non si riesce a porre rimedio con le politiche disorganiche condotte sin qui.
Come del resto lo ha ben ha dimostrato l’emersione fallita dell’ultima sanatoria risalente al 2021 e promossa dall’allora Ministro per le politiche agricole Bellanova. Il pronostico sulle 500.000 persone, che si prevedeva dovessero uscire dall’irregolarità, è rimasto un miraggio. Mentre le difficoltà dei cittadini costretti all’irregolarità dall’impasse amministrativo restano invariate e anzi si moltiplicano. Perché come afferma Marcela Cruz,“dietro ogni cittadina o cittadino straniero ci sono coniugi, figli, intere famiglie!”
Una grande fetta di popolazione costitutiva della società, per la quale non solo è necessaria una regolarizzazione, ma anche una vittoria sul fronte dei diritti politici e dell’ottenimento della cittadinanza. Le condizioni sono infatti mature ed è tempo che la modernizzazione venga sostenuta elaborando nuove leggi su temi fondamentali per un Paese che voglia definirsi davvero avanzato.
[1] https://www.dossierimmigrazione.it
[2]https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2011/10-agosto-2011/vlora-indignazione-don-tonino-bellopersone-vengono-trattate-come-bestie-1901271585782.shtml
[3]https://www.numeripari.org/la-rete/?_gl=1*1wo92c7*_ga*ODI0ODg4NzUyLjE2ODUxODgxODI.*_up*MQ..
[4] https://www.arci.it/festival-sabir-2023-3/