Storia di una violenza non ancora superata

Storia di una violenza non ancora superata

Maria lascia tutto e parte per non tornare più indietro in cerca di un modo per dimenticare; una violenza, però, ti si attacca addosso. Nonostante tutto lei si è aperta ed ha condiviso con noi di UILS ciò che ha provato

Questo articolo apre un ciclo di inchiesta sulla violenza di genere a danno delle donne. Storie di violenza e di dolore, di shock e, in questo caso, di una ragazza che ha smesso di pensare al futuro. Questa è la storia di una vittima di stupro

I fatti che ci apprestiamo a raccontare saranno coperti da una serie di omissioni; ciò che vogliamo è tutelare l’immagine di una giovane donna che non desidera in alcun modo essere riconosciuta. Ci è stato permesso solo di dire che ora non vive più nella città nella quale sono avvenuti i fatti che stiamo per raccontare perché quelle strade le ricordano un’invasione della propria persona e libertà e da lì ha deciso di andare via. Attualmente Maria (questo è il nome che ha scelto di fornirci e noi rispettiamo la sua privacy) vive in Piemonte, una regione che non ha alcun contatto diretto o indiretto con il suo passato e, quando la solitudine l’attanaglia, prende il cellulare e telefona la mamma e alcune sue amiche di infanzia. Maria sta ancora cercando di dimenticare.

Maria aveva poco più di 18 anni al tempo dei fatti ed era un’adolescente dalla vita tranquilla che non eccedeva mai in nulla e che cercava, per quanto la giovane età le permettesse, di immaginare anche un futuro e, quindi, costruire un percorso che potesse accompagnarla verso il suo sogno da quando era una bambina: la professione veterinaria (Maria era ed è una grande amante degli animali!).

Studiava tanto durante il periodo passato tra i banchi del liceo, già pensando ai test per accedere alla facoltà di medicina e poi specializzarsi in veterinaria, ma viveva anche una vita da adolescente nata e cresciuta a Roma. Andava spesso al cinema con le amiche e gli amici di classe, frequentava una palestra dove era entrata in una squadra di pallavolo e aveva, da poco, iniziato degli incontri con un’insegnante di canto. I genitori di Maria vedevano in lei una certa responsabilità e questo li faceva stare tranquilli e, perciò, la lasciavano uscire spesso anche sola anche perché avvisava sempre dove e con chi usciva.

Questo articolo parla di uno stupro consumato in un palazzo vicino casa di Maria, uno stupro commesso di tardo pomeriggio (circa le 17:30/17:45) di un giorno qualsiasi di un febbraio di qualche anno fa, tra le strade di Roma.

scarpe rosse con il tacco simbolo violenza sulle donne
foto di Luca da Pixabay

Maria quel giorno stava facendo pressappoco ciò che aveva fatto il giorno precedente e che avrebbe fatto quello successivo: andare al liceo la mattina fino alle 13:10, tornare a casa per pranzo (aveva la fortuna di abitare vicino allo studio nel quale imparava a respirare con il diaframma) e poi fare i compiti. Quel giorno l’insegnante di canto le aveva chiesto di posticipare l’incontro (invece che vedersi dalle 16:30 sarebbe dovuta andare a lezione alle 17:30) perché aveva avuto un ritardo a rientrare per problemi di traffico. Maria aveva pensato che sarebbe stato anche meglio per lei perché avrebbe potuto terminare quel capitolo di letteratura latina più difficile del previsto.

La ragazza allora decide di lasciare casa circa 20 minuti prima (questa è la distanza che intercorre con un’andatura a media velocità costante tra casa sua e quella dell’insegnate di canto) ma le strade sono già quasi deserte e buie perché il meteo era stato particolarmente piovoso nei giorni precedenti e non accennava a migliorare.

Mi rendo conto che è molto difficile parlarne. Se in qualsiasi momento tu volessi fermarti non esitare e interrompiamo la narrazione. Posso chiederti cosa ricordi di quel pomeriggio?

Maria- È strano per me, sono passati svariati anni [a questo punto si controlla le mani come se avesse bisogno di contarle visualizzando le dita], 7 anni per l’esattezza, a volte mi sembra di aver dimenticato ma altre volte mi sento di essere ancora lì in quel momento e non passa. Ho accettato di raccontare perché capita troppe volte e ci si sente sole. Magari raccontando ciò che è successo ci si rende conto di essere simili ad altre donne, magari si decide anche di denunciare.

 

Cosa ricordi di quella sera, anzi pomeriggio?

M.- Ricordo che avevo sentito la mia insegnate per la lezione di musica pop. Non ho mai pensato di seguire un corso di canto, credevo di essere stonata, ma mi sono fatta coraggio perché sono sempre stata molto timida e temevo che questa mia attitudine avrebbe potuto rendere più difficile la mia carriera universitaria. Bene, ricordo che ero uscita di casa, casa mia dista pochi Km da quella della mia insegnante di canto, ma era già buio perché era un pomeriggio di febbraio. In quel momento non stava piovendo anche se aveva smesso da poco ed avevo con me un ombrello per precauzione. Ricordo che iniziai a camminare, avevo in testa ancora la traduzione di latino che mi stava dando più di qualche problema.

 

Poi cosa accadde? Racconta solo quello che ti senti di condividere…

M.- Ricordo che stavo camminando, guardando in basso perché temevo le pozzanghere e di scivolare. Ad un certo punto, di fronte a me, vedo due piedi, fermi. È accaduto tutto in pochi minuti. Era una strada a senso unico, con marciapiedi stretti (di quelli nei quali si può camminare uno alla volta) e allora mi feci da parte, schiacciandomi sulla parete alla mia destra per lasciare il passo ma… lui mi superò schiacciandosi a sua volta su di me e quando io ripresi a camminare allora mi sentii presa con un braccio mentre con la mano mi tappava la bocca.

 

Ti sei sentita aiutata dalle istituzioni?

M.- Posso dire che ho incontrato tante persone professionali che mi hanno aiutata. Occorre capire che quando accade qualcosa del genere potresti non avere più voglia di fare nulla. Questo è quello che ho provato io; ho smesso di esistere, passavo le mie giornate in uno stato di solitudine perché non riuscivo a dimenticare ma, anche, mi sentivo sbagliata. In parte colpevole.

 

Come è possibile che ti sentissi colpevole?

M.- La prima cosa che pensai durante il ricovero fu “Perché a me?” e “Cosa avevo fatto di sbagliato…”. Ora, a distanza di tempo, e grazie all’aiuto del mio terapeuta (che mi ha salvato la vita) io riesco a guardarmi di nuovo e non sentirmi più sbagliata ma all’epoca pensai che avessi attirato l’attenzione in qualche modo e che, in parte, fosse stata colpa mia. Lo pensavo ma non avevo il coraggio di dirlo a voce alta. Più ci pensavo e meno riuscivo a parlare.

Certo all’epoca non me ne rendevo conto anzi venne fuori durante uno dei miei incontri di psicoterapia ai quali, all’inizio, partecipavo senza dire nulla. Il mio psicoterapeuta mi ha pazientemente aspettato.

 

Vorresti dire qualcosa in modo spontaneo; qualsiasi cosa, siamo qui per te e per la tua storia.

M.- Mi sento di dire che va fatto ancora molto per aiutare le vittime di violenza a non sentirsi in alcun modo sbagliate. La società è troppo giudicante, le istituzioni politiche fanno e dicono troppo poco per condannare ogni forma di violenza. Si rischia di far morire dentro una donna o una ragazza senza rendersene conto. Occorre investire nei servizi assistenziali perché troppo spesso si rischia di sentirsi sole e abbandonate. Voglio, però, ringraziare tutte le persone che mi hanno curata nelle ferite del corpo e dell’anima.

 

Maria fu spinta all’interno di un palazzo e, dopo aver ricevuto un colpo in testa, fu stuprata. A trovarla fu una coppia di condomini di quel palazzo che conoscevano, seppure solo di vista, Maria e che chiamarono l’ambulanza. Maria non parlò per circa un mese. Non piangeva, guardava il vuoto (questo mi disse durante l’intervista) e per questo motivo fu aperta una denuncia di stupro verso ignoti. Maria mi ha confidato che le ferisce non ricordare nulla di quell’uomo perché era buio e, nonostante gli sforzi, riesce solo a riportare alla memoria piccoli particolari (un orologio, le scarpe, i jeans con risvolto) e una sagoma molto confusa. Ciò che la terrorizza ancora adesso è non riuscire a dare un volto ad un uomo che le ha fatto del male e che teme di incontrare e non riconoscere. Per questo continua la terapia psichiatrica che, a suo dire, la sta aiutando pian piano ad andare avanti.

donna triste
foto di Urlike Mai da Pixabay

Purtroppo, il colpevole non è mai stato identificato e preso. In quella strada non erano presenti alcun tipo di telecamera, gli inquirenti hanno avuto a disposizione solo una immagine di un uomo (sembra 30/40enne) con la testa ed il volto nascosto da un cappuccio scuro.

Maria non si è ancora iscritta alla facoltà di medicina ma ciò che le auguriamo è che un giorno riesca a lasciarsi questa brutta vicenda alle spalle e coronare, finalmente, il suo sogno di aiutare gli animali, che continua a preferire alle persone.

È una storia brutale che deve lasciare uno spiraglio di speranza e ottimismo per il futuro che, per Maria, deve ancora essere scritto; le auguriamo di riuscire a lasciarsi alle spalle la violenza brutalmente subita e riscoprire solo il bello della vita.

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Ludovica Cassano