La morte di Amini ha aperto il vaso e ne sono usciti tutti i mali

La morte di Amini ha aperto il vaso e ne sono usciti tutti i mali

Un altro anno è passato ma la violenza del Governo iraniano sembra non volersi placare

Il 2023 è stato un anno di estrema violenza in Iran e gli episodi di arresto e le condanne a morte sono aumentate nonostante la ferma opposizione internazionale

Settembre è arrivato alla fine con i giorni strappati uno ad uno dal calendario, abbiamo salutato l’estate e accolto le foglie cadenti dell’autunno; eppure, il problema della condizione femminile rimane ancora drammatico e nulla sembra essere cambiato nonostante le innumerevoli proteste in Iran come nel resto del Mondo.

Il 16 settembre sono trascorsi due anni da quando la polizia religiosa ha fermato Mahsa Amini, una giovane donna iraniana di ventidue anni, in vacanza con la famiglia nella capitale del Paese. Viene fermata perché, a detta degli agenti coinvolti, la giovane non rispetta appieno la legge sull’obbligo del velo del 1981 (poi modificata nel 1983), ritenendola colpevole di indossare l’hijab non correttamente e facendo intravedere parte della capigliatura. La giovane Mahsa viene arrestata e tre giorni dopo muore per un malore (si parla di infarto) eppure il corpo mostra segni di tortura e percosse. La polizia insiste sul decesso per cause naturali, il Governo sostiene i suoi “scagnozzi”, il popolo inizia a protestare…

L’opinione pubblica si spacca, tra chi appoggia la linea conservatrice del Governo e chi, invece, non accetta che la donna venga sminuita, ritenuta inferiore all’uomo e sottoposta ad una serie di limitazioni. La protesta per la morte di una giovane amica, sorella e figlia dell’Iran si trasforma ben presto in un messaggio molto più ampio, un messaggio di speranza contro la nuova politica religiosa del Governo iraniano che ha disatteso le aspettative popolari e ha trasformato il Paese in un luogo di punizione e controllo.

foto da Freepik

La morte della giovane Mahsa Amini diventa la scintilla su un tizzone già pronto ad incendiarsi e la protesta divampa; la reazione governativa non si fa attendere e iniziano una serie di azioni militari per sedare le varie proteste ed i media internazionali mostrano vere e proprie guerriglie cittadine – in tutto il Paese – con una grande quantità di arresti sommari e conseguenti condanne di morte.

In seguito alla morte di Mahsa il gruppo di attiviste femministe sotto lo slogan di Donna, Vita e Libertà inizia ad intraprendere una serie di manifestazioni (tutte rigorosamente pacifiche) per mostrare che le donne non accettano ciò che viene fatto contro di loro e le limitazioni alle quali sono soggette. A quelle prime forme di dissenso sono seguite delle brutali azioni repressive da parte del Regime nazionale che ha imposto la linea della forza e delle armi; i dati – frutto del monitoraggio di Amnesty International – palesano una situazione di dittatura vera e propria: nel 2023 sono state messe a morte ben 481 prigionieri che appare sempre più chiaro vengono imprigionati solo perché contrari alla linea politico-religiosa del Regime. Scorrendo tra i nomi (molti giovanissimi) dei condannati a morte si può leggere che sono colpevoli di aver ucciso soldati durante la loro azione di protezione ma si ometterebbero i segni (rinvenuti dalle autopsie, anche se concesse raramente dal Regime stesso) sul loro colpo che mostrano, senza ombra di dubbio, di essere stati vittime di torture, elettroshock ed abusi sessuali. Barbarie legalizzate che vengono denunciate da anni ma che continuano ad essere ignorate.

Per i Governi occidentali risulta più conveniente continuare a pensare all’Iran come ad un alleato o, quantomeno, non come un nemico dichiarato e perciò non c’è una reale intenzione di schierarsi contro queste ingiustizie.

I familiari di Mahsa Amini continuano a piangere la loro perdita ma, oggi, non sono più soli (migliaia di altre famiglie sono state smembrate e lacerate) e quel dolore sembra urlare fino a qui e mentre il Governo sta trasformando l’Iran in un grande cimitero, la costanza della protesta mostra che non riusciranno a seppellire la speranza che continua a vivere alimentata attraverso le mille voci dissidenti, tra le tante anche quelle di Donna, Vita e Libertà.

Masha Amini si è spenta a soli ventidue anni ma si può dire che la sua immagine è, ormai, immortale; è diventata un simbolo e la storia ci insegna che perdurano in eterno e con essi la speranza di vedere la fine della tirannia.

Per approfondimento consigliamo altro articolo-intervista a tre attiviste di Donna, Vita e Libertà di Firenze, realizzata un anno fa.

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Ludovica Cassano