Se il mostro non è sopra, ma sotto il letto
Negli ultimi 2 anni ogni 15 minuti 1 donna ha subito violenza, ogni 3 giorni 1 donna è stata uccisa e nell’80% dei casi il carnefice aveva le chiavi di casa
Rula Jebreal, giornalista di fama internazionale, commuove tutti a San Remo con il suo monologo contro le violenze sulle donne
“Lei aveva la biancheria intima quella sera? Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina? Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans?”
Se le donne non vogliono essere stuprate devono smetterla di vestirsi da poco di buono”
Comincia con queste domande e affermazioni provocatorie e “insinuanti” il commovente monologo che la giornalista e scrittrice italo-palestinese Rula Jebreal legge durante la prima serata del Festival di Sanremo, in onda martedì 4 febbraio 2020.
È Amadeus, conduttore e direttore artistico di San Remo, ad annunciarla, anche lui visibilmente emozionato. Rula legge dal centro del palco il testo scritto su due libri poggiati su due leggii vicini.
Alla sua destra un libro nero dal quale trae le frasi spietate, “che sottintendono una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti”, vengono elencati i numeri relativi alle vittime ed i racconti dei fatti di cronaca. Alle parole dure però, la Jebreal alterna la lettura del libro bianco alla sua sinistra, qui sono scritti i versi di alcune delle più belle canzoni della musica italiana che parlano di donne e di amore.
Poi con pudore e delicatezza tentando di non far spezzare il suono della propria voce, tra i fatti tratti dai processi e dai notiziari e le strofe dei testi dei cantautori italiani, Rula racconta la storia della sua infanzia, dice di essere cresciuta in un orfanotrofio, nel quale sentiva raccontare storie “non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate, che il sonno lo toglievano”.
Poi legge nuovamente le cifre, i numeri “spietati” dell’Italia, quel paese che sa essere materno ed accogliente ma che è anche teatro di tanta crudeltà.
Quindi seguono i versi de “La donna cannone” di De Gregori, e, dopo le parole d’amore, tornano quelle di sofferenza, un dolore straziante che ammutolisce la platea: il racconto della madre morta suicida, dandosi fuoco per non essere riuscita a sopportare più il peso delle violenze subite.
Poi ancora i versi di una canzone d’amore, l’amore di Sally, una donna “che non ha più voglia di fare la guerra”.
E la Jebreal domanda “Quante volte siamo state Sally?” Poi ricorda l’attrice e politica Franca Rame, vittima di una violenza di gruppo, che cercò salvezza nella musica.
Quindi si rivolge agli uomini in maniera diretta “Parlo agli uomini, adesso. Lasciateci libere di essere ciò che vogliamo essere: madri di dieci figli e madri di nessuno, casalinghe e carrieriste, madonne e puttane, lasciateci fare quello che vogliamo del nostro corpo e ribellatevi insieme a noi, quando qualcuno ci dice cosa dobbiamo farne. Siate nostri complici”.
Un continuo susseguirsi di dura realtà, emozione, sogno, esortazioni…
Mancano solo pochi minuti alla fine del monologo, ancora pochi versi di canzoni, poi la Jebreal saluta il pubblico, sottolineando il motivo della sua presenza: “sono stata scelta stasera per celebrare la musica e le donne, ma sono qui per parlare delle cose di cui è necessario parlare”. Accenna alla normale futilità che sa che caratterizzerà i commenti dei telespettatori i giorni successivi, quando si chiederanno come era vestita la co-conduttrice. Poi, con un tono più deciso chiede che domande su vestiti e atteggiamenti non vengano più fatte a donne vittime di violenza e fa un appello a nome di tutte le donne: “non vogliamo più avere paura. Vogliamo essere amate. Lo devo a mia madre, lo dobbiamo a noi stesse, alle nostre figlie. Nessuno può permettersi il diritto di addormentarci con una favola. Vogliamo essere note, silenzi, rumori, libere nel tempo e nello spazio. Vogliamo essere questo: musica.
Ed il discorso profondo e commovente si fonde nel suono delle note di “Te voglio bene assaje” in una bellissima versione strumentale dell’orchestra dell’Ariston.
La Jebreal, anche nei giorni successivi ha risposto con determinazione alle polemiche sulla sua partecipazione al Festival, sostenendo di essere consapevole che la presenza di “italiani nuovi” come lei sul palco dell’Ariston potesse essere considerata scomodo per qualcuno, ma sottolineando di essere stata molto felice di aver avuto l’opportunità di celebrare le donne, ricordando che c’è ancora molta strada da percorrere prima che la realtà possa finalmente congiungersi con quei versi memorabili e pieni d’amore.
I numeri che riguardano la violenza sulle donne in Italia sono terrificanti. L’ultimo report diffuso da Istat e Polizia di Stato, con i dati aggiornati al 2019, parla di 88 vittime ogni giorno: una donna ogni 15 minuti.
Riguardo questi dati le informazioni fornite dai media hanno però spesso la responsabilità di confondere l’opinione pubblica. Se da una parte c’è chi sostiene il diritto di autodeterminazione delle donne, ovvero il riconoscimento della capacità di scelta autonoma e indipendente, dall’altra alcuni esponenti e forze politiche come quelle promotrici del Congresso delle famiglie di Verona hanno interesse alla diffusione di uno stereotipo della donna moglie e madre virtuosa, dimenticando che un atteggiamento di sottomissione nei confronti del marito può diventare volano per lo sfruttamento delle donne. Fare buon giornalismo vuol dire invece ricercare e spiegare le cause della violenza affinché si manifesti un cambiamento radicale.
Da sempre la UILS si espone in difesa dei diritti delle donne. In un servizio del TG del Movimento UILS del 2018 dal titolo “Normalità e femminicidio”, il direttore di Proposte Massimo Filippo Marciano sosteneva infatti: “La causa va ricercata in una cultura maschile e retrograda e ipocritamente celata che considera inaccettabile il controllo della donna della propria sessualità, ergo la donna per molti uomini non può essere libera di scegliere, di vivere e di amare. Il femminicidio è soltanto la conseguenza logica di rapporti diseguali tra uomini e donne che produce questa stessa violenza e che soltanto una conversione culturale e sociale imponente può modificare, una conversione radicale che può rendere una donna libera, come tutte le donne devono essere”.
Da parte nostra speriamo di lavorare bene affinché un giorno non ci sia più bisogno di citare numeri terrificanti, di raccontare storie aberranti o domande insinuanti, ma di ascoltare solo i versi di canzoni d’amore, di un amore sano che aiuta a sconfiggere tutti i mostri tornati sotto il letto.