Quando si respirerà giustizia a Taranto?

Quando si respirerà giustizia a Taranto?

Dagli anni sessanta fumi e polveri nocive avvelenano la città

Il parere di associazioni e sindacati del territorio circa l’odierna evoluzione del caso ArcelorMittal

 

I cittadini di Taranto vivono da svariati decenni, e qui l’antitesi, in una situazione d’emergenza determinata altresì dalle drammatiche ripercussioni generate dall’ingombrante presenza, adiacente alla città, del Centro Siderurgico più grande d’Europa: l’attuale ArcelorMittal, nonché ex-Ilva ed ex-Italsider.

Nel frattempo, in una realtà critica la quale non viene affrontata come tale, ovvero, con altrettante misure eccezionali (lo conferma l’ennesimo rinvio del processo cautelare tra ArcelorMittal e lo Stato italiano, avvenuto il 7 febbraio 2020), che clima si respira in città? Cosa prospettano gli attivisti delle associazioni tarantine e i sindacati? Ne abbiamo intervistati alcuni.

 

  • Stefano Sibilla, operaio Ilva in cassa integrazione, è un sindacalista della Confederazione Unitaria di Base (FLM Cub). Ci spiega le ragioni per cui la Confederazione citata non sia stata tra i confederali, sottoscriventi l’accordo con l’allora Governo Conte: “non siamo firmatari dell’accordo del 6 settembre 2018, lo abbiamo denunciato specie io e il segretario Nazionale Antonio Ferrari ai media nazionali e locali. Inoltre, da lavoratore, nelle assemblee sindacali che fecero i sindacati firmatari nel consiglio di fabbrica, riferii ai lavoratori di non firmare un accordo peggiorativo che negli anni porterà disoccupazione, malattie e morte”.

Nella nuova trattativa è trapelata, tra le proposte del Governo, un presunto “Cantiere Taranto”. L’operaio lo commenta, ritenendo non ci sia nulla di concreto, ma che la soluzione per l’esecutivo sia un’altra: “adesso vuole emanare un decreto straccia contratto di ArcelorMittal per far arricchire loro stessi e le società che subentrano, riconfermando i 1.600 lavoratori che sono in CIGS da più di un anno e gli altri lavoratori di ArcelorMittal”.

Alla domanda riguardante una possibile alternativa per far fronte a questa drammatica vicenda, risponde: “A Taranto, come è stato fatto a Genova, serve un accordo di programma dove vengano fermate le fonti inquinanti: smantellare, decontaminare e bonificare. Serve un piano che può provvedere più di oltre 10.000 posti di lavori e per anni di lavoro”.

 

  • L’attivista ventottenne Antonio Lenti del gruppo “Tamburi combattenti” descrive invece la proposta che portano avanti alcune associazioni del territorio, cioè, il “Piano Taranto”: “È un progetto nato dal basso quindi dal lavoro di cittadini e di esperti, come medici e ingegneri. Il quale, riprendendo e declinando a livello territoriale uno studio ufficiale di Confindustria, punta a costruire un piano di riconversione basato sulla chiusura dell’Ilva senza perdere alcun posto di lavoro. Si tratta di chiudere, smantellare, bonificare e decontaminare le aree e i terreni inquinati reimpiegando gli stessi lavoratori che verranno formati per le bonifiche”.

Il Primo Ministro era nel capoluogo di provincia lo scorso novembre e in quell’occasione ha anche incontrato alcuni attivisti. Tra loro era presente A. Lenti: “mi ha colpito che a noi abitanti del quartiere Tamburi ha chiesto quanti siamo in totale e se fossimo stati d’accordo con la proposta di spostarci altrove”. La risposta: “NO! Perché non siamo noi che dobbiamo andar via ma chi ci inquina!”.

Conclude: “la situazione è paradossale, Mittal vuole andare via, perché tra l’altro l’Amministratore Delegato Morselli a dicembre scrisse che è impossibile operare su quegli impianti perché sono pericolosi e criminali. Lo Stato invece vuole continuare a tenerli aperti e vuole che la multinazionale resti perché non ha il cosiddetto piano B”.

 

  • Francesco Rizzo è operaio Ilva, delegato sindacale e segretario dell’ Usb, sindacato nato all’indomani del 26 luglio 2012. Illustra così i motivi per cui l’Unione Sindacale di Base ha sottoscritto l’accordo del 6 settembre 2018: “Abbiamo sempre sostenuto la nazionalizzazione, quindi l’intervento pubblico che avrebbe poi permesso di poter moderare la questione Ilva. Paradossalmente anche per chiuderla, come si è fatto a Genova e che in queste ore si sta facendo a Trieste”.

Il 7 luglio 2019 hanno però ritirato la firma in sede ministeriale, riferendo al ministro Di Maio: “Rivendichiamo i contenuti all’interno di quell’accordo dal punto di vista del lavoro che secondo noi dava garanzie. Il problema grosso è che ritiriamo la firma perché il soggetto con cui abbiamo sottoscritto quell’accordo non è affidabile”.

 

Rizzo parla di “razzismo politico” nei confronti di chi abita a Taranto e spiega cosa intende: “Sulla siderurgia, la linea è chiudere perché ammazza le persone e quindi intervenire con le bonifiche, decontaminazione del territorio e ricollocazione dei lavoratori, altrimenti non si capisce perché a Trieste firmi un accordo per chiudere l’area a caldo che fa ammalare le persone e ricollochi il lavoratore e a Taranto invece parli addirittura di potenziamento della produzione”.

Quando si respirerà giustizia a Taranto

La proposta dell’Usb per dare un futuro dignitoso alla città è un documento inviato altresì ai ministri e in cui si suggeriscono delle misure eccezionali: “Perché un imprenditore dovrebbe scegliere di venire qui a Taranto piuttosto che a Venezia? Deve essere conveniente! Allora abbiamo detto di fare un’operazione come quella fatta a Livigno che è zona franca dal 1538”. Prosegue: “Noi diciamo, settore di riferimento e zero tasse (…), cioè tutto a carico dello Stato e mi fai un’operazione come questa per 10/15 anni. I settori sono bonifica dei siti contaminati, che comunque devi fare, trattamento dei rifiuti, tecnologie green, turismo e tutto quel che concerne le possibilità che abbiamo”. Alla domanda circa i costi da sostenere per concretizzare quest’ipotetica soluzione, il segretario: “(…) I ministri prendono 20.000 euro al mese e hanno diecimila agevolazioni proprio perché dovrebbero risolvere i problemi. Non sono capaci? Mi portino alla ragioneria dello Stato, mi facciano vedere e poi probabilmente come sono stati bravi a trovare i soldi per le banche, li andiamo a trovare per noi. Quanto costa? sicuramente meno rispetto al valore della vita umana che in questi anni a Taranto è stata martoriata”.

 

La città dei due mari, fondata da Falanto secondo la mitologia greca, patria degli spartani, dalle acque cristalline, dai delfini visibili dalla prua di una barca ma che l’uomo, oggi, tenta instancabilmente di deturpare.

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Giulia Lupoli