Isola di Mauritius, il disastro ecologico causato dalla petroliera giapponese

Isola di Mauritius, il disastro ecologico causato dalla petroliera giapponese

Cargo incagliato nella barriera corallina

Drammatiche le possibili ripercussioni ambientali provocate dallo sversamento di greggio nelle acque marine dell’Oceano Indiano

 

Lo scorso 16 agosto la nave giapponese Mv Wakashio, incagliata dal 25 luglio in prossimità dell’isola di Mauritius, si è spezzata in due dopo aver perso oltre 1.000 tonnellate di petrolio nelle acque della barriera corallina mentre le squadre di salvataggio hanno cercato di pompare le restanti tonnellate di carburante.

A causa di questo sversamento, le acque dell’Oceano Indiano sud-occidentale sono diventate nere e, già ad inizio agosto, il Primo Ministro delle Mauritius, Pravind Kumar Jugnauth, aveva comunicato lo stato di emergenza ambientale. I soccorsi hanno cercato di agire tempestivamente, contenendo i danni alla laguna con operazioni di bonifica per estrarre tonnellate di greggio. Non solo, sono stati impiegati oltre 700 metri di diga galleggiante per contenere la diffusione del petrolio in mare. Il Governo è stato però ugualmente costretto a chiedere aiuti internazionali.

A tal fine, come riportato dall’ANSA, è giunto in soccorso il governo di Tokyo, inviando una squadra di esperti con specifiche competenze nella gestione dei disastri ambientali e nella rimozione di sostanze inquinanti a salvaguardia degli ecosistemi. La Francia ha invece inviato materiale e truppe per cercare di limitare i danni. I soccorsi internazionali sono stati indispensabili in quanto lo stesso Ministro aveva spiegato chiaramente che l’isola non ha risorse e capacità per far fronte al disastro.

Le associazioni ambientaliste locali ed internazionali quali Greenpeace, Fridays For Future e WWF, con lo scopo di preservare l’ecosistema, hanno richiesto una risposta rapida dal Governo isolano che, nel frattempo, ha reso nota la richiesta di risarcimento indirizzata all’armatore giapponese. La compagnia navale non si è svincolata dal voler far fronte ai danni provocati.

Le organizzazioni locali si sono inoltre mobilitate per chiedere aiuto, tant’è che, con lo slogan “Mauritius Oil Spill Cleaning 2020 – MV Wakashio”, hanno lanciato una campagna di raccolta fondi sul sito web www.crowdfund.mu.  Inoltre, forze dei volontari sono impegnate nell’aiutare a pulire e decontaminare l’ambiente colpito.

Ambiente e territorio - Giulia Lupoli - Isola di Mauritius, il disastro ecologico causato dalla petroliera giapponese

L’area dove è avvenuto il disastro è una regione di barriere coralline in fase di ricostruzione da più di un decennio, caratterizzata dalla presenza di grandi diversità marine e terrestri e da cui distano, a pochi chilometri, importanti riserve naturali.

Analizzando l’impatto ambientale causato dalla presenza di petrolio in mare, è impossibile ignorare la vulnerabilità dei mammiferi marini. Non solo per la loro dipendenza dall’aria, ma anche perché il greggio può essere ingerito o può entrare in contatto con l’animale attraverso l’acqua marina o le coste contaminate, sia sabbiose che rocciose. La contaminazione della flora potrebbe dunque compromettere gli habitat naturali con il conseguente allontanamento degli animali, con il rischio che le aree si spopolino delle specie autoctone.

Le tartarughe sono tra le specie a rischio e possono avvelenarsi sia tramite l’ingestione di cibo contaminato che tramite l’assorbimento attraverso la pelle, gli occhi, i polmoni e le vie respiratorie. E il pericolo di contaminare le specie protette, se il petrolio dovesse raggiungere le coste.

Emerge, ancora una volta, una rischiosa dipendenza, nociva per il nostro Pianeta, ma che si potrebbe evitare se, chi ha potere decisionale, non continuasse a ignorare di proposito il problema, cioè l’abbandono dei combustibili fossili. A ribadirlo è intervenuto Happy Khambule, senior political advisor di Greenpeace Africa, sottolineando che i rischi del petrolio aggravano la crisi climatica, devastano gli oceani e la biodiversità. Inoltre, in questo caso, minacciano i mezzi di sussistenza locali intorno ad alcune delle lagune più preziose dell’Africa. Occorrono azioni più drastiche volte all’abbandono dei combustibili fossili e, in merito all’accaduto, Happy Khambule afferma che questa perdita di petrolio non è un fatidico scherzo del destino. È invece causa della contorta dipendenza dell’uomo dagli stessi e che non esiste un modo sicuro garantito per estrarre, trasportare e immagazzinare prodotti di combustibili fossili.

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Giulia Lupoli