La doppia ingiustizia dei cimiteri dei feti con i nomi delle madri
Le vicende di due donne che hanno trovato una lapide con il proprio nome
In un cimitero romano, una donna ha trovato la tomba del suo feto seppellito a sua insaputa e con il suo nome, nonostante avesse firmato un modulo in cui rinunciava a provvedere alla sepoltura del feto. Questa triste vicenda dei cimiteri dei feti, purtroppo, non è un caso isolato. Anche a Brescia una parte del cimitero è conosciuto come il “cimitero dei bambini mai nati”. Qui le tombe hanno quasi tutte lo stesso nome “Celeste”, seguito da un cognome che è quello della madre. A raccontarlo è una donna che, dopo aver saputo ciò che è accaduto alla donna di Roma, controllando sui registri online del cimitero, ha scoperto che esiste una lapide con il proprio cognome insieme al nome Celeste. La tomba risale al 2015, anno in cui la donna ha eseguito un aborto spontaneo alla dodicesima settimana. Anche in questo caso, la donna aveva rifiutato sia di dare un nome al feto, sia di organizzare un funerale.
In queste due storie, così come le tante altre accadute a tante altre donne, ci sono due elementi ricorrenti. Il primo è la violazione della privacy, in quanto si è usato il nome e il cognome della donna che ha abortito. Il secondo è rappresentato dal non rispetto della volontà della donna che non ha richiesto né funerali né di seppellire il feto.
Il problema della violazione della privacy
Per quanto riguarda la violazione della privacy, l’avvocatessa Cathy La Torre, in un’intervista del 30 settembre 2020 sul sito del Corriere della Sera, ha dichiarato: «Si tratta di una violazione gravissima di un dato sensibile ai sensi dell’articolo 9 del Regolamento Europeo sulla Privacy 679/18, che recita espressamente: “È vietato trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”. Per farle un esempio, è come su ogni tomba, sotto il nome del defunto, ci fosse scritta la causa della sua morte». Dopo il caso di Roma del feto sepolto con il nome e cognome della madre, il Garante della Privacy ha aperto un’ istruttoria per indagare sulla conformità dei comportamenti adottati dai soggetti pubblici coinvolti con la disciplina in materia di privacy.
La Torre, inoltre, invita tutte le donne che hanno subito questa violazione a scrivere all’ indirizzo e-mail tutelaliberascelta@gmail.com. Così facendo, l’avvocatessa può dare informazioni sulla normativa vigente e indicare come fare segnalazioni al Garante della Privacy.
Perché proprio il nome e cognome della madre?
Inoltre ha raccontato che, al riguardo, sono già arrivate molte testimonianze di donne da tutte Italia. In un’ intervista dell’1 ottobre 2020 sul sito del Corriere della Sera, ha voluto sottolineare che in tante lettere le donne si giustificano: «Quello che è incredibile è che ognuna di loro sente di doversi “giustificare”: “Ho abortito perché lui era violento”. “Ho abortito perché non potevamo permetterci un terzo figlio”. “Ho abortito e tutti in paese l’hanno saputo”. Risponderemo a tutte, ma a ognuna di loro stiamo dicendo “non devi giustificarti”, “noi non ti giudichiamo”».
L’uso del nome della madre sulla lapide del figlio nato morto, oltre ad infrangere il diritto alla riservatezza, genera anche un senso di colpa. Perché proprio il nome e cognome della madre? L’utilizzo del nome della madre incrimina la donna, addossando tutta la responsabilità dell’aborto alla sola madre, ignorando che dietro a un gesto del genere ci sono i più vari motivi. Una donna non può sentirsi in colpa per una sua scelta, soprattutto perché l’aborto in Italia è legale.
La sepoltura dei feti all’insaputa delle donne
La seconda particolarità della vicenda dei cimiteri dei feti riguarda il compiere la sepoltura all’insaputa delle donne. Secondo il Regolamento della Polizia Mortuaria i “prodotti del concepimento” sino alla ventesima settimana possono essere sepolti su richiesta dei familiari. Per questo motivo, quando si decide un’ interruzione volontaria di gravidanza o nel caso di aborti spontanei, non è previsto nessun obbligo di sepoltura. Di conseguenza l’Asl procede allo smaltimento, considerando i “prodotti abortivi” come rifiuti speciali ospedalieri. Al contrario, si può richiedere il seppellimento, presentando domanda entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto.
Vengono seppelliti, invece, i “prodotti abortivi” che vanno dalla 20esima alla 28esima settimana. Si tratta di aborti terapeutici o spontanei. In questo caso si chiede alla donna o ai genitori se vogliono la sepoltura. Se rifiutano, l’Asl incaricherà il Comune e ai servizi cimiteriali. Se accade che un bambino nasce morto dopo la 28° settimana potrà essere registrato all’anagrafe e successivamente potrà avere una sepoltura.
Le associazioni che si occupano dei cimiteri dei feti
Nei casi di aborti prima della 20 settimana, dato che sono poche le donne che fanno domanda di sepoltura, intervengono le associazioni di volontariato pro life e antiabortiste. La Torre ha spiegato nell’intervista del 30 settembre al Corriere della Sera: «Molti ospedali lavorano di concerto con queste associazioni che si offrono di smaltire a loro spese “i prodotti abortivi”. Per gli ospedali, con risorse sempre minori, rappresenta un risparmio di soldi e di lavoro».
Nella vicenda di Brescia, un articolo sul quotidiano Il Giornale di Brescia racconta che è l’associazione cattolica del Movimento per la Vita che si preoccupa si seppellire i feti. L’associazione, dopo aver recuperato i feti negli ospedali, celebra il funerale e poi seppellisce il feto. La particolarità del “cimitero dei bambini mai nati” è che gruppi di croci riportano la stessa data che non è quella di morte ma quella del funerale, in quanto una volta al mese si svolge una cerimonia cattolica per la sepoltura. In questo modo si è data una sepoltura cattolica a feti di madri che non si riconoscono nella religione cattolica o possono essere atee.
Il caso dei cimiteri dei feti con i nomi delle madri rappresenta una doppia trasgressione dei diritti delle donne che abortiscono. Da una parte c’è la violazione della riservatezza, dall’altro si contravviene alla volontà di una donna che ha respinto la sepoltura.