Governo nuovo ma vecchio problema delle quote rosa

Governo nuovo ma vecchio problema delle quote rosa

Se il nuovo governo Draghi presenta una omogeneità riguardo il numero di ministri per ogni partito, di certo, non si può parlare di uguaglianza in relazione al numero di ministre. Il nuovo esecutivo mostra ancora il vecchio problema delle quote rosa. Nella lista presentata da Draghi, infatti, sono solo otto le ministre su ventitré dicasteri totali. Lo stesso numero del Conte bis, dove su ventuno ministri sette erano donne, si arrivò ad otto dopo le dimissioni di Fioramonti, sostituito da Lucia Azzolina.

Le quote rosa del governo Draghi?

Ma da chi è formata la compagine femminile? Il gruppo più numeroso, si fa per dire, è quello delle “tecniche”, che conta ben 3 ministre, ovvero Marta Cartabia come Guardasigilli, la riconferma di Luciana Lamorgese agli Interni e Cristina Messa all’ Università. Quest’ultime sono anche le uniche ministre con portafoglio, al contrario di quelle politiche, tutte senza portafoglio: Mariastella Gelmini al dicastero degli Affari regionali e Autonomie e Mara Carfagna per il Sud e la Coesione Territoriale, entrambe di Forza Italia; Erika Stefani della Lega come ministra alla Disabilità; il Movimento 5 Stelle mantiene Fabiana Dadone che dalla Pubblica amministrazione passa alle Politiche giovanili; completa il quadro la proroga della renziana Elena Bonetti come ministra delle Pari opportunità e della famiglia.

Nessuna ministra del PD

Grande assente è il Pd, orfano di ministre donne. Zingaretti ha commentato così: “La giusta rabbia a cui bisogna dare una risposta non la dobbiamo mettere con la polvere sotto il tappeto ma utilizzarla per superare i limiti che ci sono. Non è un problema delle donne, ma soprattutto degli uomini farsi carico di capire come si volta pagina. Non per dare un contentino, ma per ripensare come questo partito nelle politiche cambia” (da articolo sul sito di La Repubblica del 16 febbraio 2021).

Critico il commento della Boldrini che ha dichiarato: “Non basterà, dopo quanto accaduto, qualche posto da sottosegretaria. Il Pd deve scardinare l’assetto delle correnti che schiaccia il protagonismo femminile e impedisce il rinnovamento. Se non lo farà finirà per smarrire la sua identità progressista e il suo scopo sociale. Fino a che non si rimette in discussione questo assetto è inutile parlare di un nuovo modello di società che mette le donne al centro. Questo scollamento mina la credibilità dell’intero partito” (da articolo sul sito di Adnkronos del 13 febbraio 2021).

Il pensiero di Michela Murgia sulle quote rosa

Michela Murgia in un video su Instagram ha riportato la sua riflessione sull’ incapacità del Pd: “Il Pd ha fatto una brutta figura perché non è riuscito a esprimere neanche il nome di una donna competente, non di una donna e basta, perché è chiaro che una donna non vorrebbe arrivare in un posto di potere in forza del fatto che è femmina. Tutte vorrebbero essere valorizzate per quello che sanno fare, sanno dire e possono contribuire a dare al Paese, quindi queste donne ci sono e non trovano spazio, non lo trovano perché gli uomini sono voraci e non lasciano loro lo spazio. Bisogna anche saperlo prendere questo spazio. Io mi auguro che le donne del Pd non accettino la promessa del segretario Zingaretti di dar loro qualche sotto segretariato di consolazione perché vorrebbe dire ancora una volta confermare l’idea che le donne stanno bene soprattutto in seconda fila a fare la costola dell’uomo”.

Il Pd non è riuscito ad imporre la parità di genere che costituisce non solo uno dei suoi ideali, ma anche un principio più volte affermato durante i vari colloqui prima della formazione del governo. La mancanza di ministre del Partito Democratico rappresenta anche la mancanza di un punto di riferimento politico di sinistra per il femminismo italiano. Un’assenza a sinistra che va vantaggio della destra. Meglio ha fatto Forza Italia che ha confermato due ministre.

Al di là dei numeri, sono poche le novità

Oltre ad una questione di numeri, che sono sì importanti ma ridurrebbero il discorso a una mera lista, bisogna analizzare anche il profilo delle ministre in relazione al cambiamento tanto atteso dal governo Draghi.

A ben guardare, sono solo due i volti nuovi tra le ministre, che per di più fanno parte del gruppo dei tecnici. Sono solo la Cartabia e la Messa ad essere delle novità e a non aver mai ricoperto il ruolo di ministra. Le altre esponenti o sono già state ministre in governi precedenti, vedi Gelmini, Carfagna e Stefani, o sono state riconfermate, vedi Lamorgese, Dadone e Bonetti. Non vuole essere una critica al valore di queste donne, ma non si è riusciti a trovare esponenti nuovi. Si è cercato tra la “vecchia” politica, figure fin troppo note, oppure si sono riconfermati dei ruoli. Non c’è stato un rinnovamento, non si è data ad altre donne preparate e competenti la possibilità di lavorare al cambiamento che ora più che mai è necessario.

Il caso Bonetti

Un discorso a parte va fatto per la Bonetti, proprio in virtù del ruolo di ministra alle Pari opportunità. Questo suo incarico contrasta con l’arrendevolezza dimostrata con le dimissioni. Dimissioni frutto non di libera scelta, ma dettate dalla intenzione di Renzi di far cadere il Governo.  Paradossalmente, colei che dovrebbe difendere le donne e lottare contro la superiorità maschile, ha dovuto accettare le disposizioni date dal capo di partito.

Le parole di Draghi

Nel discorso al Senato Draghi ha parlato della parità di genere nei contesti lavorativi e ha spiegato la sua idea sulle quote rosa. Il premier ha dichiarato: “La mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne. L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. Intendiamo quindi investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese. Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del Paese. Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro.

Le quota rosa del nuovo governo rappresentano solo un terzo del totale, una raffigurazione palese che la parità di genere è ancora un obiettivo lontano da raggiungere. C’è ancora molto da lavorare, la disuguaglianza è paragonabile all’ignoranza. Serve, quindi, più informazione e formazione per risolvere quello che è un problema culturale.

 

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Alessia Pina Alimonti