Ancora cent’anni di disparità di genere per il world economic forum
Il Word Economic Forum ha calcolato i livelli del divario di genere. I risultati non sono per nulla entusiasmanti: sarà necessario più di un secolo per colmare il divario uomo- donna, più di duecento anni per raggiungere la parità in ambito lavorativo, infine, l’Italia migliora la sua posizione in classifica ma si attesta a metà classifica. I dati sono quelli del Global Gender Gap Report 2021 redatto dal World Economic Forum.
I dati del Word Economic Forum
Nel documento, infatti, il numero più sorprendente è 267,6, ovvero gli anni necessari per chiudere il gap uomo-donna nel mondo del lavoro. Una stima più bassa a livello di tempo, ma che è salita dall’ultimo report, è il periodo che serve per arrivare al grado di parità considerando 4 ambiti di analisi del report (politica, economia, educazione e salute). In questo caso sono opportuni 135,6 anni per raggiungere la parità, rispetto ai 99,5 anni ipotizzati solo dal rapporto precedente.
Nel Global Gender Gap Report 2021 è stilata anche una classifica dei paesi più virtuosi. L’Islanda si posiziona prima, seguita da Finlandia, Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia. Tutti questi paesi hanno come primo ministro una donna; fa eccezione la Norvegia dove Jonas Gahr Store è primo ministro dal 14 ottobre 202, prima di lui, però, in carica c’era Erna Solberg. Per trovare l’Italia dobbiamo scendere al 63° posto, in una classifica di 156 nazioni. Il nostro Paese, inoltre, ha guadagnato 13 posizioni rispetto allo scorso report.
Intervista a Claudia Campisi
Per leggere meglio il Global Gender Gap Report del World Economic Forum e avere un quadro più chiaro della situazione attuale sul divario di genere nel mondo del lavoro, abbiamo intervistato Claudia Campisi, psicologa ed HR, ideatrice del blog Lavoro con stile (lavoroconstile.it).
Come possiamo commentare i dati del Global Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum?
«I dati che emergono mostrano una fotografia su scala mondiale, europea e italiana che rappresenta un’importante “chiamata all’azione”. Non sono ammissibili battute d’arresto rispetto alle politiche di contrasto del gender gap. Ci sono paesi come Islanda, Finlandia, Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia che sono molto vicini all’obiettivo e a cui possiamo ispirarci.
Come immaginavo la pandemia da Coronavirus ha influito sensibilmente ad aggravare il gender gap. Questo perché il tema della cura, e dei figli e dei genitori anziani, è un carico familiare che rimane sulle spalle delle donne, lavoratrici o meno. Tema come anche quello delle donne sandwich di cui parlo nel mio ultimo libro “Genitori anziani, che fare?” scritto insieme ad Antonella Brugnola per la Dario Flaccovio Editore. Il nostro posizionamento su scala globale è il risultato inevitabile di un impegno sociale congiunto, tra Stato e privato, che tarda ancora a funzionare soprattutto in termini di risposte concrete e servizi a misura dei cittadini».
Le cause del gender gap
Come mai nonostante si parli e si faccia tanto in merito al problema del gender gap, aumentano e non diminuiscono gli anni necessari per colmare il divario?
«Le 4 dimensioni su cui siamo chiamati a lavorare, la partecipazione e l’opportunità economica, lo sviluppo educativo e d’istruzione, la salute e il benessere, l’empowerment politico, necessitano di un impegno finanziario costante e continuativo. Non è affatto un caso che l’area di miglioramento in cui l’Italia sta ottenendo risultati tangibili è quasi esclusivamente quella relativa alla partecipazione politica. Un impegno sociale sentito dalle singole esponenti politiche, sostenuto, indubbiamente, in seconda battuta anche dalle organizzazioni politiche e dai partiti, ma che non comporta particolari investimenti.
Quindi il primo tema che, a mio avviso, rallenta la corsa al contrasto del gender gap è di natura strettamente economica. La seconda, comunque legata alla prima, se si pensa al reddito medio familiare italiano, è di natura culturale. Il Covid-19, come emerso dal “Global Gender Gap Report 2021″ del World Economic Forum, ha avuto un ruolo di acceleratore su un mercato del lavoro già complesso per le donne, che in caso di problemi e stop familiari, sono “socialmente” chiamate a sacrificare la propria carriera, in alcuni casi estremi lasciando il lavoro. Questo avviene anche a causa del gender pay gap, che inevitabilmente conti alla mano designa il sacrificio del componente con la situazione finanziaria più precaria e debole».
Claudia Campisi con il libro “Genitori anziani, che fare?”
Possibili soluzioni al gender gap evidenziato dal world economic forum
Secondo lei quali sono le cause e come si può risolvere il problema del lavoro femminile in Italia?
«Le rispondo come Psicologa e HR sostenendo che un segnale tangibile potrebbe arrivare con due cambi di passo: Il primo e più importante: l’adeguamento dei livelli di inquadramento e retribuzione a parità di responsabilità e progettualità seguite. Il gender pay gap non rappresenta solo un problema di natura economica ma incide inevitabilmente su dimensioni identitarie, culturali e di autonomia personale che per le donne hanno ricadute gravissime rispetto alle loro scelte di vita e alle relazioni familiari.
Il secondo aspetto: servono servizi a sostegno delle donne che lavorano per ogni differente fase della loro vita, e quando sono chiamate ad occuparsi dei figli e nel ruolo di caregivers per la cura di genitori, suoceri o familiari disabili. Un riconoscimento sociale ma soprattutto concreto della donna che lavora ha bisogno di risposte e soluzioni concrete, a tutela della sua autorealizzazione personale e in alcuni casi, se pensiamo a chi è vittima di violenze familiari, alla sua stessa libertà».
Conclusioni
Global Gender Gap Report 2021 è l’ennesima dimostrazione che la strada per arrivare alla parità di genere è ancora lunga. Oltre ad essere lontano, l’obiettivo di colmare il divario deve essere considerato senza troppi ottimismi, in quanto, rispetto alle stime precedenti, il tempo necessario per raggiungere la parità è aumentato invece di diminuire.
L’Italia con il punteggio di 0,721 si trova alla metà della classifica stimata dal Word Economic Forum, anche se ha recuperato più di 10 posizioni, il distacco dalla prima, l’Islanda con una valutazione di 0,892, è di 0,171 punti.
Nella classifica, infatti si assegna un punteggio da 0 a 1, il primo valore indica che la parità di genere non è per nulla raggiunta; il secondo valore indica che la parità è totalmente raggiunta.
In Italia, quindi, in due casi su tre non c’è un divario di genere. Bisogna, però, lavorare su quel terzo dei casi in cui le donne sono ancora gravate dal peso dei figli e della gestione familiare; un terzo dei casi dove le donne subiscono in modo maggiore le ricadute delle crisi economiche, in modo particolare quelle derivanti dalla pandemia. Bisogna far presto, non si può aspettare più di un secolo.