Animali e mascherine chirurgiche hanno invaso gli spazi naturali
Gli aspetti positivi e negativi causati dalla pandemia coronavirus sull’ambiente
L’hashtag “#iorestoacasa” non è valso per gli animali selvatici. Passeggiavano per le vie delle città oggi invase dai rifiuti plastici monouso
La sera del 9 marzo 2020, venivano estese a tutta la penisola le misure restrittive fino ad allora valide solo per le zone “rosse” della Lombardia e di parte del Nord Italia.
Se da un lato venivano limitate le uscite, dall’altro la natura iniziava lentamente a riappropriarsi dei propri spazi. Così, in diverse parti del Pianeta, gli animali indisturbati si spingevano lì dove non osavano più arrivare.
In Francia, sulle piste da sci di Courchevel veniva avvistato un lupo in pieno giorno, mentre a Parigi delle anatre a passeggio si spingevano sino alla Comédie Française.
A Nara, in Giappone, i cervi, presenze abituali dei parchi, si godevano la loro quiete sotto i ciliegi in fiore. I più curiosi avevano invece preferito esplorare tutta la città. Sempre per le strade deserte, saltellava senza problemi un canguro ad Adelaide, in Australia.
In una zona residenziale di Bogotá è stato avvistato un esemplare di maikong (è un canide cerdocionino) e sempre in Colombia, ma a Neiva, un opossum andava a spasso con i suoi cuccioli in spalla.
Il blocco navale e il divieto di pesca riportavano i delfini a danzare sul lungomare di Taranto e in un’altra città marittima, Mar del Plata in Argentina, i leoni marini invadevano le strade deserte.
Gli sciacalli a Tel Aviv si sono impadroniti di un parco e altrettanto hanno fatto le scimmie a Lopburi, in Thailandia.
Il lockdown è stato invece mal vissuto dai gabbiani in Spagna, costretti, a causa delle attività chiuse, ad andare a caccia di cibo, che solitamente soddisfano, nutrendosi con gli scarti dei bar e ristoranti.
In Italia è toccato alle lepri ricomparse nei parchi milanesi e a due caprioli, appassionati di shopping, che giravano per il centro di Casale Monferrato.
Diversa sorte è spettata agli animali accalcati in condizioni igieniche precarie negli allevamenti intensivi negli USA. Milioni tra polli, maiali e bovini sono state uccisi per effetto della pandemia. L’annuncio era stato dato dal presidente di una delle più grandi multinazionali del settore, la Tyson Food, i cui stabilimenti si occupano di trasformazione e commercializzazione della carne.
Oltre ai benefici sugli animali selvatici, la pandemia ha avuto anche un impatto positivo sull’ambiente, come dimostrato dall’abbassamento dei livelli di diossido di azoto (NO₂), di anidride carbonica (CO₂) e di altri inquinanti presenti nell’aria. Benefici, questi, dovuti al calo del traffico veicolare e della sospensione di quella aerea.
Anche il fermo di molte industrie ha permesso la riduzione delle emissioni di gas serra, così come la diminuzione del turismo di massa e delle sostanze inquinanti, prodotte dalle crociere e dalle barche a motore, ha fatto sì che i canali di Venezia ritornassero puliti.
Con l’emergenza COVID-19 si stima però che solo in Italia verranno prodotte 450mila tonnellate di guanti e mascherine da smaltire, a cui va sommato tutto il materiale monouso usato in ambito sanitario. Wuhan in piena crisi è arrivata a produrne 200 tonnellate quotidiane, il quadruplo dei rifiuti giornalieri che la città riesce a gestire.
Sono aumentati inoltre i servizi di consegna a domicilio che hanno contribuito ad incrementare l’utilizzo della plastica a causa degli imballaggi utilizzati.
Le conseguenze dell’uso eccessivo di tale materiale ricadono sull’ecosistema marino e terrestre e a pagarne il conto è l’umanità. Infatti, non essendo decomponibile, si frammenta in microplastiche e diventata così parte della nostra catena alimentare. Le microplastiche, inghiottite dai pesci, passano poi sulle nostre tavole. A confermarlo è una ricerca dell’Università di Newcastle, secondo cui mangiamo in media 5 grammi di plastica ogni settimana, pari al peso di una carta di credito.
Risolvere oggi quest’emergenza appare difficile, tant’è che è stata nuovamente rinviata l’entrata in vigore della plastic tax che avrebbe messo al bando la plastica monouso. È necessario che ognuno di noi faccia ricorso al proprio senso civico e tutelare, in questo modo se e gli altri oltre che preservare, per quanto possibile, l’ambiente incontaminato. L’Istituto Superiore di Sanità infatti consiglia l’utilizzo delle cosiddette “mascherine di comunità”, lavabili e riutilizzabili.