Daimon. La scuola per restare al Sud
Nel meridione, rimanere nel proprio paese d’origine è ancora più faticoso dell’andare lontano
Nasce in Salento un progetto contro lo spopolamento dei borghi
L’emigrazione dei giovani nati nel meridione è una piaga che da anni si dilata, il tacco d’Italia che non offre futuro rischia lo spopolamento. Su questa tematica istituzioni ed imprese cercano di essere presenti, attraverso leggi e riforme ad hoc che incentivino lo sviluppo economico e l’offerta di lavoro nelle Regioni del Sud. Si è cercato di ridurre il più possibile questo processo che purtroppo sembra non aver ancora trovato un punto di ritorno. In Salento, l’Associazione culturale “Scatola di latta” ha dato il via a un progetto chiamato “Daimon”, dopo sei anni di iniziative ed incontri per realizzarlo, finalmente è divenuto realtà. Si tratta di una scuola che trae la sua origine e senso dalla parola “restanza”, un termine coniato dall’antropologo calabrese Vito Teti: è la forma di resistenza del cittadino meridionale che non se ne va, resta nel suo paese natio, non con rassegnazione ma con sacrificio e animo propositivo. Teti ha analizzato il fenomeno nel corso dei suoi studi, evincendone che, rimanere, per un meridionale, è ancora più faticoso del partire. Infatti, afferma: «Chi resta sperimenta la condizione della solitudine, dell’incomprensione dello straniero in patria, perché intanto il paese è cambiato. Una volta c’era il sacrificio dell’emigrante e adesso c’è il sacrificio di chi resta».
Secondo gli ultimi dati Istat, dal 2009 al 2018, il Salento ha subito l’emigrazione di 31.103 cittadini. «Da decenni l’Italia è vittima del calo demografico e dello spopolamento per abbandono volontario o forzato da parte dei suoi abitanti. Ma è in atto anche una migrazione interna che, come una bussola, è pressoché unidirezionale e riguarda uno spostamento massivo di cittadini dalle regioni del sud a quelle del nord Italia». Queste le parole del coordinatore e ideatore del progetto – Gianluca Palma – in merito alle ragioni che lo hanno spinto negli anni a dedicarsi alla riuscita di questa iniziativa. Mentre riguardo al nome per essa deciso, spiega: «Abbiamo scelto di dare alla nostra scuola il nome Daìmon, dal lessico del sentire greco. Era lo spirito guida che accompagnava gli eroi greci a compiere il loro destino, a realizzare pienamente la loro individualità, il loro essere eccezione; nel caso di Antigone era Filía: Amore. Daìmon era ed è il nostro demone: lo sguardo interiore che porta al riconoscimento. I segni di daìmon poi sono gli stessi che definiscono (con l’aggiunta di una congiunzione) la parola diaméno, che in greco classico significa “restare”. Per cui (il nostro è anche un augurio): restiamo seguendo il demone, nella piena realizzazione –anche civica- della nostra singolarità».
L’associazione Scatola di latta si autodefinisce un gruppo di amici che promuove iniziative civico culturali in tutta Italia, e in particolare in Salento. La loro filosofia si può riassumere con queste 3 parole “Luoghi/Storie/Persone”. Organizzano passeggiate civico culturali fra i paesini e i paesaggi del Salento e del Meridione e promuovono iniziative civico culturale coinvolgendo scrittori, musicisti, storici, anziani, bambini, artigiani e associazioni. Promuovono erranza, relazioni e conoscenza, custodiscono storie di restanze e partenze dal Mezzogiorno. La scuola Daimon si basa sul baratto del sapere, è gratuita, itinerante, multidisciplinare, senza pagelle o compiti da rispettare. I luoghi di apprendimento saranno le piantagioni, le cantine e le botteghe diffuse nei paesi del Sud. Una scuola aperta a chiunque voglia abitare civicamente e poeticamente i propri territori, perché dice Palma «Si comincia da quello che ognuno può fare, al di là dei grandi proclami. Impareremo a riscoprire i nostri luoghi madre, a stimolare e supportare gli enti pubblici e privati locali e internazionali. Ci sensibilizzeremo alla cittadinanza attiva glocale, ci diseducheremo all’abbandono e sapremo diffondere l’arte della cura delle radici e dei fiori».
Ogni cosa contro l’impoverimento culturale e demografico di quella parte di Italia troppo spesso dimenticata ed etichettata come inferiore sia da un punto di vista economico sia di sapere e civiltà. Ben vengano queste iniziative. Si dimostra che non tutto il popolo meridionale sta lì a guardare inerte il suo invecchiamento e imminente morte sociale. Bisogna partire proprio da qui, dai borghi “fantasma” che hanno tutto il diritto di rivendicare la propria terra e le proprie risorse ambientali ma soprattutto umane.