Dietro il velo delle armi made in Italy
Se oggi è ancora possibile un discorso attorno all’export delle armi italiane verso l’estero, la proposta di modifica alla legge 185 del 1990 potrebbe mettere in serio pericolo la trasparenza attualmente vigente nel mercato delle armi.
La Costituzione italiana ripudia la guerra, ma non l’esecutivo: le spese militari sono sempre più ingenti e la proposta di modifica alla legge 185/90 rischia di opacizzare la trasparenza vigente relativa alla vendita delle armi italiane.
La legge in questione permette la divulgazione di informazioni come volumi e tipologie di armamenti venduti, i Paesi destinatari, i soggetti finanziatori dell’export ecc.. Le proposte di modifica, avanzate già da tempo in Parlamento, riguardano soprattutto la richiesta di maggiore discrezionalità per gli affari governativi nel campo degli armamenti.
Uno dei punti critici è l’eliminazione, all’interno della Relazione, della parte che rende esplicite le interazioni tra banche e aziende produttrici, ovvero l’elenco degli istituti di credito che finanziano concretamente l’import, l’export e il transito di armamenti. La riforma tende dunque a piegare la legge 185/90 al volere delle lobby del settore bellico italiano – il cui fatturato è cresciuto a dismisura, fino all’86% negli ultimi 5 anni – fino ad un totale svuotamento di senso della legge stessa.
Sullo scenario di un mercato globale delle armi sempre più selvaggio, un’azione del genere comporterebbe rischi anche nell’ambito dei diritti umani, creando un mondo ancor più pericoloso di com’è oggi. Per questo Oxfam, assieme a Banca Etica e Rete Italiana Pace e Disarmo, ha promosso la mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi! Difendiamo la trasparenza e la democrazia nel commercio di armi”, sostenuta a sua volta da decine di organizzazioni, per chiedere al Parlamento italiano di non peggiorare i meccanismi di autorizzazione e controllo, oltre alla trasparenza sulle esportazioni prevista dalla legge.
“La legge 185/90 è una conquista importante della società civile, è una conquista nata dal basso grazie alla generosità e all’impegno profusi da parte di donne, uomini e organizzazioni dediti a costruire una norma innovativa, presidio collettivo di democrazia e trasparenza. Non possiamo accettare che questa legge venga invece depotenziata in tutta fretta e nel silenzio, rimuovendo il ruolo di controllo del Parlamento e negando alle cittadine e cittadini informazioni chiave sul commercio di armi italiane nel mondo, al solo vantaggio dell’industria bellica e della speculazione finanziaria”: questa la dichiarazione delle associazioni congiunte in vista della manifestazione svoltasi lo scorso 17 aprile a Roma.
Le cifre che emergono dalle Relazioni sul 2023 evidenziano una crescita imponente della capacità di export dell’industria militare italiana, con un grande aumento del valore complessivo delle licenze rilasciate per il trasferimento di armi. Tra i Paesi destinatari che hanno registrato oltre 100 milioni di euro nel totale delle licenze ci sono la Francia, l’Ucraina, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita.
Per quanto riguarda il caso specifico di Israele, nelle note fornite dall’UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) si sottolinea come, nel 2023, il valore delle esportazioni autorizzate sia rimasto stabile rispetto all’anno precedente, mentre quello delle importazioni ha realizzato una crescita importante. Il documento evidenzia anche come le caratteristiche del conflitto a Gaza abbiano indotto a rivalutare la concessione di nuove autorizzazioni verso Israele, decidendo poi per la sospensione di nuove autorizzazioni all’esportazione di armamenti. Le recenti notizie, invece, confermano che questo stop non si è mai trasformato dalle parole ai fatti. Lo stesso Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha dichiarato a più riprese: ”Abbiamo cessato dal giorno 7 ottobre di vendere armi a Israele come facciamo con tutti i Paesi in guerra, perché così dice la legge italiana”.
Diverse inchieste del mensile Altreconomia, però, hanno svelato un intenso traffico di materiale bellico dall’Italia a Israele nel pieno degli attacchi israeliani verso la Striscia di Gaza. Anche i dati inediti dell’Agenzia delle Dogane certificano che tra dicembre 2023 e gennaio 2024 Roma ha esportato a Tel Aviv armi e munizioni da guerra, e non a uso civile, come fatto intendere sulla carta, per oltre due milioni di euro.
Stiamo discutendo una condotta che potrebbe costare al nostro Paese un’accusa di complicità nella violazione del diritto internazionale di fronte alla Corte Penale Internazionale, quella stessa Corte che il 20 maggio 2024, dopo la richiesta del Procuratore capo dell’Aja, ha formulato un mandato di arresto nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per presunti crimini di guerra e contro l’umanità.
Grandi banche e società finanziarie italiane continuano tutt’oggi a investire in aziende che forniscono armi a Israele, facilitando sempre più gravi violazioni del diritto internazionale. Continuando su questa linea, anche l’Italia resta complice di atti genocidari, nella piena consapevolezza di questo rischio.