Firmato accordo di pace in Sudan, “una pietra miliare” nella storia del paese.
Sudan, il coraggioso cammino verso la democrazia
Firmato accordo di pace in Sudan, “una pietra miliare” nella storia del paese.
L’accordo di pace firmato in Sudan il 31 agosto di quest’anno mette fine a 17 anni di guerra civile e rappresenta un altro passo decisivo verso la democrazia.
L’accordo fra il governo del Sudan e l’alleanza dei gruppi ribelli, il Sudan Revolutionary Front (SRF), è stato siglato il 31 agosto di quest’anno a Juba, capitale del Sud Sudan. L’organizzazione riunisce i ribelli del Darfur, del Kordofan meridionale e del Nilo azzurro.
L’accordo è stato definito dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres “un traguardo storico” e pone fine a ben 17 anni di sanguinosa guerra civile. Il primo conflitto, quello del Darfur, aveva infatti avuto inizio nel 2003 e, stando ai dati delle Nazioni Unite, avrebbe causato 300.000 morti e oltre due milioni di sfollati. Il secondo è invece scoppiato nel Sud Kordofan e nel Nilo azzurro nel 2011.
L’accordo è stato il frutto di un anno di negoziati e si compone di otto protocolli che regolano diversi aspetti della vita del paese come la sicurezza, la giustizia, le proprietà terriere e il ritorno in patria degli sfollati costretti ad abbandonare le proprie case per via della guerra. Fra i provvedimenti più importanti è prevista l’integrazione delle forze ribelli all’interno dell’esercito nazionale entro un periodo di 39 mesi.
Due fazioni si sono rifiutate di firmare l’accordo. Si tratta di una fazione del “Sudan Liberation Movement”(SLM) guidata da Abdul Wahid al-Nur e di un’ala del “Sudan People’s Liberation Movement- North” (SPLM-N ) guidata invece da Abdelaziz al-Hilu. Ai due leader Malik Agar, un capo ribelle della fazione del SPLM- N favorevole alla pace, ha indirizzato l’appello ad aderire all’accordo e a “ non perdere questa storica opportunità”.
Dei progressi in questa direzione sono già stati fatti. Il 3 settembre al-Hilu e il primo ministro Hamdok hanno infatti firmato una dichiarazione di intenti in cui si afferma che la laicità dello stato dovrà essere uno dei presupposti da cui partire per redigere la nuova costituzione sudanese.
Una delle più grandi sfide che invece il Sudan dovrà sostenere se vorrà che questa pace sia davvero duratura sarà aver a che fare con la pesante eredità del vecchio regime guidato da Omar al- Bashir.
Il brutale regime dittatoriale di al- Bashir, che aveva preso il potere con un golpe nel 1989 e che è stato deposto l’11 aprile del 2019 dopo mesi di proteste, si è protratto per ben 30 anni rendendosi colpevoli di atrocità inaudite.
A seguito della destituzione di al- Bashir il potere è stato temporaneamente detenuto da un Consiglio Militare di transizione guidato da Abdel Fattah al-Burhan. Un accordo raggiunto fra civili e militari ha predisposto di trasferire il potere ad un Consiglio Sovrano di transizione costituito da 11 membri (5 dei quali scelti fra i militari, 5 fra i civili e uno scelto di comune accordo da entrambe le parti) al quale sarebbe spettato il compito di governare il paese fino alle prossime elezioni democratiche del 2022. Il 20 agosto del 2019 il Consiglio ha nominato come primo ministro Abdalla Hamdok, che il giorno seguente ha prestato giuramento.
La situazione è però tutt’ora estremamente delicata come dimostra l’attentato ai danni del primo ministro il 9 marzo di quest’anno e dal quale per fortuna Hamdok è uscito illeso.
A destare ulteriori perplessità è la presenza all’interno del Consiglio Sovrano di transizione di figure a dir poco controverse come quella del miliziano janjaweed Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come “Hemeti”.
Hemeti, oltre a essere stato uno dei fedelissimi di al-Bashir, è il comandante del gruppo paramilitare delle “Forze di supporto rapido” (RSF) .
Un gruppo conosciuto per i suoi metodi violenti e la cui efferatezza gli è valsa il soprannome di “Uomini senza pietà”.
Durante una campagna militare condotta nel Darfur fra il 2014 e il 2015, stando a quanto riportato dal “Human rights watch”, le RSF avrebbero infatti perpetrato crimini contro l’umanità, fra cui stupri di massa e l’uccisione e la tortura di civili.
Uomini come Hemeti, le cui milizie si sono macchiate di crimini che non possono e non devono rimanere impuniti, rappresentano il volto cruento della vecchia leadership militare della quale il paese dovrà necessariamente sbarazzarsi se vorrà guardare al futuro.
E’ necessario dunque che il Sudan proceda con determinazione al radicale smantellamento del vecchio regime e all’epurazione dai posti di potere di tutti quei signori della guerra che hanno governato per anni.
Una determinazione che ci auguriamo non mancherà al coraggioso popolo sudanese che è riuscito, senza l’intervento dell’occidente e attraverso una protesta non-violenta, a rovesciare un brutale regime e che ora con quest’accordo di pace ha ottenuto la sua prima vera e concreta opportunità di istituire una democrazia.