Hamas. Un movimento, un ideale, un obiettivo.

Hamas. Un movimento, un ideale, un obiettivo.

Dal 2006 a capo della Striscia di Gaza, Hamas porta avanti la sua ideologia e il conflitto con Israele da più di 35 anni. Divisa in due anime, gode di un forte sostegno internazionale. Un terzo dei palestinesi considera il movimento lo “sviluppo più dannoso”, ma buona parte lo voterebbe ancora.


«Mamma, tuo figlio è un eroe. Uccidi, uccidi! Uccidili! Ne ho uccisi dieci con le mie stesse mani. Sono il primo a entrare sotto la protezione e l’aiuto di Allah. Tieni la testa alta in città, papà. Non c’è ritorno: si tratta di morte o vittoria. Mia madre mi ha fatto nascere per la religione».

È un audio diretto, che dipinge alla perfezione la realtà delle cose, quello diffuso dalle autorità israeliane.

Il 7 ottobre, dopo una curata pianificazione, Hamas ha lanciato a sorpresa un’offensiva contro Israele che ha colpito in modo indiscriminato più persone possibili. Uno dei suoi attacchi meglio riusciti. È quasi impossibile fare la conta dei morti, ma il bilancio delle vittime sale di giorno in giorno.

Ma cos’è Hamas, il gruppo che ha compiuto l’incursione?

Dal 2006 al potere a Gaza (questa l’ultima volta in cui si sono tenute le elezioni), Hamas è stata fondata nel 1987, in concomitanza della prima Intifada, da Ahmed Hassin, un religioso palestinese cresciuto nelle sezioni locali dei Fratelli Musulmani, il movimento dell’Islam politico fondato in Egitto. Da allora il gruppo è famoso oltre che per essere uno dei due principali partiti palestinesi (l’atro è Al-Fatah, a capo della Cisgiordania), un gruppo militare islamico di natura fondamentalista. Come si evince dalla Carta del 1988 (lo statuto ufficiale), Hamas si oppone a qualsiasi cessazione del territorio palestinese, poiché secondo la sharia sarebbe “terra islamica consegnata alle generazioni dell’Islam fino al giorno del giudizio”. Condurre una guerra per il controllo, quindi, diventa un dovere religioso e lo stesso vale per la distruzione di Israele. Negli anni, ha preso posizioni sempre più radicali, facendosi conoscere al mondo intero per una serie di attentati in nome di un’ideologia estremista e per il suo odio incondizionato verso il popolo israeliano.

Hamas
Foto di rainwiz

Letteralmente “zelo”, “entusiasmo”, Hamas è anche l’acronimo di “Movimento della resistenza islamica”. Il gruppo, con a capo Ismail Haniyeh, è organizzato in tre bracci: militare, politico e sociale.
La politica generale è gestita da un organo, il Politburo, che opera in esilio, mentre le questioni a Gaza e in Cisgiordania sono condotte da comitati locali.
Le brigate Izzeddin Al-Qassam, l’ala militale, sono dirette da Marwan Issa e Mohammed Deif. Secondo il quotidiano Financial Times, sarebbe stato proprio quest’ultimo la mente dietro all’attacco del 7 ottobre. L’organo prende il nome da un ex militante ritenuto martire poiché morto per la causa. Prima di cambiare il testimone, però, le brigate erano affidate a Yahya Sinwar, l’uomo che scontò 22 anni in una prigione israeliana per aver rapito e ucciso due soldati nemici e che oggi supervisiona la situazione generale a Gaza.

Hamas rientra in una rete regionale che comprende l’Iran, Hezbollah e la Siria: tutti attori fortemente in contrapposizione con la politica Occidentale e statunitense. Tuttavia, le divergenze e gli impegni internazionali hanno portato a una serie di divisioni intestine e alla nascita di due anime diverse: una più moderata e vicina al Qatar e un’altra più radicale dei cosiddetti “iraniani”.

Un tempo finanziata economicamente da Siria e Arabia Saudita, oggi il primo fra i finanziatori è l’Iran che oltre a fornire milioni di dollari ogni anno, procura al movimento armi e ne addestra i militanti. Hamas, poi, alimenta ulteriormente i suoi fondi grazie a un sistema di tassazione delle merci egiziane importate a Gaza. Nel 2021, grazie a questa tecnica, il gruppo avrebbe raccolto circa 12 milioni di dollari al mese. Aiuti arrivano anche dal Qatar e altri Paesi arabi. Inoltre, nonostante da Ankara si sottolinei come il sostegno ad Hamas sia solo di natura politica – lo stesso Erdogan a ottobre lo ha definito un gruppo di “liberatori che combattono per la loro terra, non dei terroristi” –, pare che finanziamenti provengano anche dalla Turchia.

Nonostante sia al governo da 17 anni, da un sondaggio dello scorso giugno condotto dal Palestinian Center for Policy and Survey è emerso che un terzo della popolazione palestinese vede Hamas come lo “sviluppo più dannoso” per il Paese. Tuttavia, allo stesso tempo, a delle eventuali nuove elezioni la metà della popolazione voterebbe per Hamas piuttosto che per Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese ed esponente di Al-Fatah.

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Chiara Conca