I diritti della donne afgane calpestati dai talebani
Il ritorno dei talebani e gli effetti della legge della sharia sulle donne afgane. È passato poco più di un mese dal ritiro degli Stati Uniti e della NATO dall’Afghanistan e la successiva conquista di Kabul da parte dei talebani. La situazione nel Paese è precipitata e in pochissimo tempo ha preso potere il nuovo governo talebano. In questo contesto di violenza e diritti che non esistono più, il prezzo più alto lo stanno pagando le donne afghane.
Emarginate dalla società, si vedono negate il diritto all’istruzione, al lavoro; sono costrette ad indossare il burqa e rimanere chiuse in casa. L’episodio che può essere il simbolo della caduta dei diritti delle donne è la trasformazione del ministero degli affari femminili in quello della promozione della virtù e della prevenzione del vizio. Il nuovo ministero è coordinato solo da uomini e le donne che lavoravano presso il vecchio ministero sono state rimandate a casa.
La condizione in Afghanistan è molto complessa e quello che vediamo e leggiamo sui media è solo una parte di ciò che succede nel Paese. Per questo motivo, per approfondire la questione, abbiamo intervistato Linda Bergamo, attivista del CISDA (Coordinamento Italiano di sostegno alle donne afgane). Dottoranda in Scienze Politiche a Sciences Po Grenoble ed esperta della situazione afghana, tanto da portare avanti una ricerca di dottorato sui motivi della mancata costruzione di uno stato solido e stabile in Afghanistan, Linda Bergamo ci ha offerto una panoramica riguardo gli avvenimenti che stanno trasformando il Paese. Nello specifico, ci ha spiegato come vivono le donne afghane e cosa sono costrette a subire.
Le attività di CISDA
Linda Bergamo, di cosa si occupa il CISDA? Quali progetti portate avanti? Qual è stato il motivo per cui avete deciso di fondare il CISDA?
«Il Coordinamento Italiano di sostegno alle donne afgane è nato nel 1999, quando un gruppo di donne del movimento «donne in nero» ha invitato delle attiviste afgane di HAWCA e RAWA all’ONU dei popoli di Perugia. Si trattava di un incontro sul ruolo della società civile globale e delle comunità locali nella costruzione della pace, di una democrazia internazionale e di un’economia giusta. A quel nucleo iniziale di attiviste, piano piano si sono aggiunte altre donne sensibili alla situazione in Afghanistan, e in particolare alla condizione delle donne in Afghanistan e nel mondo.
L’obiettivo principale del CISDA, in continuità con l’azione delle compagne RAWA e delle associazioni della società civile in Afghanistan, è quello di promuovere iniziative di carattere politico-sociale sia a livello nazionale che internazionale. Le attiviste del CISDA sono attive sia a livello nazionale che a livello locale, con lo scopo di sensibilizzare il proprio territorio, e un pubblico più ampio, alla condizione svantaggiata delle donne in Afghanistan, ma anche alle diverse forme di resistenza, alle attività e alla voce delle coraggiose compagne afgane».
CISDA e la cooperazione con le donne afgane
«La relazione tra le compagne afgane e le attiviste del CISDA è totalmente orizzontale, si nutre di grande rispetto reciproco e affetto. CISDA porta in Italia la voce, le immagini, le testimonianze delle donne che prendono parte ai progetti, progetti che sono sempre proposti dalle ragazze afgane che conoscono alla perfezione il loro pubblico di donne in situazione di bisogno. Si tratta di una continua condivisione di visioni ed esperienze. CISDA sostiene diversi progetti promossi da alcune organizzazioni di riferimento: RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan), HAWCA (Associazione umanitaria delle donne e dei bambini dell’Afghanistan), OPAWC (Organizzazione che promuove le capacità delle donne afghane), SAAJS (Associazione Sociale Afgana dei Cercatori di Giustizia), AFCECO (Afghan Child Education and Care Organization), Comitato di Difesa di Malalai Joya e HAMBASTAGI (Partito della Solidarietà)».
«Le attiviste CISDA hanno periodicamente la possibilità di andare in delegazione in Afghanistan per conoscere i partner locali e fare esperienza dei progetti in evoluzione. Come noi andiamo in Afghanistan, ospitiamo anche in Italia alcune delegate delle organizzazioni afghane con cui collaboriamo per partecipare a conferenze e incontri in cui possano raccontare la situazione nel loro paese, le loro lotte e attività. CISDA, su consiglio dei e delle militanti afgani e sensibili al bisogno di solidarietà internazionale, dal 2014 ha allargato il suo supporto anche alla resistenza curda».
La condizione delle donne afgane
Qual è la situazione politica in Afghanistan? Qual è la situazione per le donne? Quali sono i diritti cancellati?
«La situazione per le donne in Afghanistan è molto difficile in questo momento. Quando i talebani hanno preso il controllo del paese, tutte le donne afgane sapevano che sarebbero state nuovamente private delle opportunità che avevano acquisito negli ultimi 20 anni. Come sempre è necessario distinguere tra l’impatto che la presa di potere dei taliban ha avuto sulla popolazione femminile nelle grandi città e nelle campagne e provincie meno popolate. Infatti, i taliban avevano già il controllo su alcuni villaggi e zone del paese, quindi le donne subivano già restrizioni e avevano uno stile di vita completamente diverso da quello nelle grandi città. Il ritorno dei taliban in questo caso è stato un trauma».
«Per quanto riguarda i diritti delle donne, i segnali che arrivano sono molto preoccupanti. Nonostante le tiepide promesse fatte alla comunità internazionale e i discorsi a favore dei diritti umani esibiti sui media, la situazione localmente è estremamente difficile da vivere per le donne. I taliban hanno imposto alle donne di uscire accompagnate da un uomo della famiglia, non consentono di indossare abiti corti sopra i pantaloni. Tutte le donne dovrebbero indossare il burqa nero e dovrebbero essere completamente coperte. In questi giorni incoraggiano gli studenti della Facoltà islamica a protestare contro l’uso di “abiti corti”».
I diritti negati
«Come in ogni situazione complessa a livello politico, in questo momento ci sono donne che manifestano in strada a favore dei talebani, contro la democrazia e per la legge islamica, e donne che alzano la voce contro i decreti dei taliban e per la libertà. Come altro esempio possiamo parlare dell’accesso all’istruzione. I talebani hanno permesso la riapertura delle scuole maschili, ma non quelle femminili e non hanno ancora preso alcuna decisione in merito. Hanno permesso all’università privata di iniziare a insegnare ma non all’università statale. E hanno chiesto alle università private di dividere i ragazzi e le ragazze in orari deferenti e se non hanno la capacità di gestire i turni, le università devono attrezzarsi per appendere delle tende in mezzo alla classe in modo che i ragazzi non possano vedere le ragazze. Inoltre, sostengono che anche l’università dovrebbe gestire i propri insegnanti per genere».
«Per il momento non hanno permesso alle donne di lavorare nelle organizzazioni tipo ONG e vietano anche l’impiego di giornaliste e l’accesso allo sport anche di alto livello per le donne. La maggior parte dei canali TV ha licenziato il personale femminile. In generale, hanno imposto diverse regole e emesso decreti per impedire alle donne di accedere allo spazio pubblico. Basti pensare alla formazione del loro governo: esclusivamente maschile e essenzialmente pashtun. Ci sono state molte proteste contro le dichiarazioni dei talebani, moltissime donne hanno alzato la voce e reclamano i loro diritti. Le donne in Afghanistan vedono un orizzonte scuro, si aspettano il peggio: un ritorno al passato. La preoccupazione riguarda il presente di ogni donna, ma anche il futuro dei loro figli e figlie, perché i talebani li addestreranno come mullah e hanno annunciato un aumento delle lezioni a carattere religioso nelle istituzioni educative».
La pandemia e le vaccinazioni in Afganistan
Qual è la situazione sanitaria in Afghanistan in relazione alla pandemia da COVID 19, la campagna vaccinale? Inoltre, in un paese devastato dalla violenza armata, i feriti, i civili riescono a curarsi?
«Il Covid-19 ha fatto molte vittime, ma non è mai stato tra le preoccupazioni maggiori della popolazione afgana. La guerra, la povertà, la fame i conflitti armati e gli attentati sono cause di morte ben più temute. L’impatto economico del Covid nella regione è stato deleterio. Prima dell’arrivo dei taliban il governo afghano aveva lanciato una campagna vaccinale. Da quando i taliban hanno preso il potere e i voli stranieri sono stati sospesi, le forniture di vaccino sono venute a mancare. Il sistema sanitario, già estremamente carente nel paese, ha subito un momento di arresto, per poi riprendere, almeno nelle grandi città. Gli ospedali sono aperti, ma mancano i professionisti, i medici, le e gli infermiere/i, gli specialisti, perché molti hanno lasciato il paese o si nascondono nelle loro case. Le donne medico o infermiere si chiedono quando e se potranno tornare al lavoro».
La condizione delle donne afghane merita di essere esaminata e tenuta sotto osservazione per cercare di
trovare soluzioni che vadano a migliorare la loro situazione. Non ci si può sbalordire ora e poi dimenticare. Non bisogna tenere l’attenzione alta adesso e poi, passata l’attualità dei fatti, rassegnarci a uno status che non cambierà mai. La negazione dei diritti delle donne afghane non riguarda solo loro ma tutti noi.