Israele, democrazia sotto attacco?

Israele, democrazia sotto attacco?

| Proposte di legge e proteste cittadine |

La riforma giudiziaria proposta dal premier israeliano ha dato il via a proteste che non si fermano nonostante essa sia stata formalmente sospesa.

Risale a circa tre mesi fa la proposta di riforma giudiziaria del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale lo scorso 27 marzo ne ha annunciato la sospensione affermando di voler “evitare una guerra civile”. Alla proposta, infatti, erano seguite incessanti proteste da parte di un’alta percentuale della popolazione: ma in cosa consisteva tale riforma?

Partiamo col ricordare che Israele non ha alcuna costituzione e che l’approvazione o l’annullamento delle leggi è nelle mani della Corte Suprema, ovvero l’istituzione giudiziaria più importante dello Stato ebraico, in quanto responsabile del potere esecutivo: quest’organo è composto da 15 giudici, le cui nomine vengono effettuate da 3 membri della corte stessa, 2 avvocati e 4 politici scelti dal governo.

Il principio a cui la Corte fa riferimento è quello della “ragionevolezza”, accompagnato da alcune leggi fondamentali: da quanto si ascolta nelle interviste fatte ai manifestanti, la popolazione ritiene che tali leggi fondamentali normalmente tutelino le minoranze, e che dunque il tentativo di indebolire i poteri decisionali della Corte potrebbe far sì che le decisioni vengano prese da un gruppo di pochi eletti, non necessariamente interessati a dare garanzie a gruppi minoritari.

Il principio di ragionevolezza fa sì che la Corte abbia la facoltà di accogliere o affossare qualsiasi legge o provvedimento proposti dal governo, mentre la proposta di Netanyahu punta a ridurre tali poteri per affidarli invece al governo: infatti, il controverso disegno di legge avrebbe modificato la composizione del Comitato di nomina dei giudici in modo tale che la coalizione di governo possa contare su una maggioranza automatica ed impedito alla Corte Suprema di pronunciarsi sui ricorsi contro le Leggi Fondamentali – che nella giurisprudenza israeliana hanno valore quasi costituzionale.

Se da un lato alcuni considerano che un dettaglio fondamentale sia il fatto che Netanyahu in questo momento si trova sotto processo per corruzione e altri reati, dall’altro lui ritiene tali accuse politicamente motivate e punta ad un ribilanciamento – o accentramento – dei poteri; se alcuni sostengono che la riforma mira a ridurre i poteri di una Corte “eccessivamente interventista”, per altri invece è un vero e proprio colpo di stato.

Altro gesto che aveva fatto discutere ed accentuare le proteste era stato il licenziamento di Gallant, Ministro della Difesa, che aveva aspramente criticato la riforma; tuttavia, lo scorso 10 aprile Netanyahu ha annunciato che il ministro rimarrà al suo posto, dicendo: “Avevamo delle divergenze anche gravi, ma ho deciso di lasciarci alle spalle le discussioni”.

Durante una riunione del gabinetto di sicurezza riunito d’urgenza a seguito delle raffiche di razzi palestinesi lanciati dal Libano e dalla striscia di Gaza contro le comunità civili israeliane nel nord e nel sud del paese, ha inoltre aggiunto: “I nostri nemici farebbero meglio a non sbagliare nel valutarci. Il dibattito interno in Israele non ci impedirà di agire contro di loro ovunque e ogni volta che sarà necessario. Tutti noi, senza eccezioni, siamo uniti su questo”.

Ad ogni modo, il 18 aprile Israele si è fermato per due minuti quando, al suono delle sirene, si è fatto silenzio per Yom HaShoah, ovvero il ricordo dei 6 milioni di ebrei uccisi dai nazisti e dai loro complici.

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Maria Casolin