La cifra delle donne
Bruxelles, un controvertice globale e femminista contro la NATO
Prima che i capi di stato e di governo si riunissero a Vilnius per la riunione annuale del Patto, mentre sullo sfondo perdurano l’orrore della guerra in Ucraina e l’impegno europeo nella politica di guerra, un coordinamento di donne provenienti da tutto il mondo – la Global Women for Peace united against Nato – è convenuta a Bruxelles, quartier generale dell’Alleanza, dal 6 al 9 luglio per tracciare le linee alternative femministe per la pace. Un programma seminariale di respiro internazionale e di incontri istituzionali presso il Parlamento Europeo e la sede della NATO.
Tra i fatti più eclatanti del ricco dibattito di queste giornate è stata segnalata la grave corruzione dell’Agenda ‘Donne, Pace e Sicurezza’. Un caposaldo di innovazione della politica internazionale del XXI secolo, derivante dalla risoluzione n.1325. Adottata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nell’ottobre del 2000 non solo per aumentare le tutele contro le note e secolari violenze su donne e ragazze durante i conflitti, ma per porre al centro il ruolo attivo delle donne nel mantenimento e nella promozione della pace e nella risoluzione dei conflitti.
Un primo passo per un diverso approccio al tema della sicurezza che ha dato luogo negli ultimi vent’anni a politiche attive su scala internazionale, nazionale e locale. Un lavoro che secondo le attiviste rischia oggi di essere vanificato perché tradito nel suo spirito iniziale a causa di declinazioni deformanti sull’approccio di genere nei piani nazionali messi in opera. Senza contare il crescente militarismo portato nelle scuole pubbliche e la militarizzazione della ricerca scientifica.
Durante il dibattito del 6 luglio presso il Parlamento Europeo, le due europarlamentari Clare Daly e Özlem Demirel (GUE/NGL Sinistra Europea), hanno incontrato pienamente i punti fondamentali della dichiarazione per la pace formulata dall’organizzazione delle donne per manifestare una precisa volontà politica. Il gruppo lavora per una nuova struttura di sicurezza per l’Europa, che si può ottenere solo attraverso lo smantellamento della NATO e attraverso lo sviluppo di diplomazia e relazioni internazionali che abbiano come chiave di volta la centralità della posizione della donna in un mondo multipolare, votato ad una maggiore giustizia sociale e ad una crescente solidarietà globale. Le linee femministe e umaniste non hanno però lo spazio che meritano per potersi sviluppare appieno in un mondo che le vorrebbe corrompere e che rischia nuovamente di precipitare a caduta libera nella formula esasperata del dominio militare.
Quella delle donne globali unite contro la Nato è una dichiarazione che non è mai stata così necessaria – ha sostenuto infatti Daly – “il femminismo è stato spietatamente cooptato dal complesso industriale militare (…) laNATO si è basata sul potere dei social media e sul peso emotivo delle politiche identitarie e sta sfruttando gliinfluencer online e la più sottile concezione dell’uguaglianza di genere per spingere la sua agenda patriarcalee militarista…abbiamo tutti sentito parlare di greenwashing da parte delle aziende; è ora di iniziare a parlare di girl-washing da parte del complesso industriale militare”.
Anche Özlem Demirel ha insistito sulla questione della militarizzazione e la corsa agli armamenti. “Clare ed io abbiamo sentito molti discorsi al riguardo in questa casa – è l’obiettivo principale e anche l’argomento utilizzato per raccontare questa guerra. Il ministro degli Esteri tedesco parla di una politica estera femminista ma intende la militarizzazione. Le donne invece sono per la pace! La NATO ci sta dicendo che noi/loro lotteremmo per la democrazia, raccontandoci che vogliono combattere per i diritti delle donne. Eppure noi sappiamo dolorosamente dal nostro passato, e dal presente, che il militarismo e la guerra indeboliscono sempre e ovunque i diritti delle donne e la democrazia”.
Patrizia Sterpetti, di WILPF Italia– storica organizzazione pacifista il cui operato è stato rilevante affinché si inserisse nel piano nazionale italiano il tema del disarmo – ha partecipato al controvertice quale portavoce, insieme a numerose donne italiane, consegnando alle due europarlamentari dei dossiers sulla situazione in Italia e sulla questione delle servitù militari in Sardegna. Documenti che sollevano l’illegittimità della presenza di armi nucleari in Italia e che denunciano le gravi mancanze rispetto alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente nei siti dove sono state collocate le basi militari, contribuendo a portare all’attenzione europea problemi che non dovrebbero restare circoscritti al solo contesto nazionale.
Siamo all’indomani del Vertice di Vilnius e ciò che emerge in questi giorni è che si sottolinea ancora la militarizzazione delle relazioni internazionali, alle quali voi vi siete opposte fin dall’anno scorso, a partire dalla presentazione dell’ultimo concept strategico 2022 della NATO a Madrid e che già allora avete criticato. Cosa è emerso con questo vostro nuovo incontro a Bruxelles?
Durante l’incontro presso il Parlamento Europeo si è sostanziato in maniera molto accurata il fatto che è stata progressivamente modificata e manipolata l’Agenda donne, pace e sicurezza, che è stato il frutto di tanto lavoro e impegno politico da parte delle donne nel corso del tempo. Il riconoscere da parte di tutte che l’eguaglianza e lo sviluppo sono possibili soltanto in un’atmosfera di pace, mentre la Nato non ha fatto altro che impossessarsi dell’agenda e trasformare il messaggio femminista in una militarizzazione della presenza delle donne, ponendole come protagoniste del militarismo. Purtroppo, coinvolgendo e sponsorizzando anche delle figure molto note e creando questo nuovo modello. L’idea soggiacente è di arrivare a una politica estera femminista che è soltanto una politica in cui sostanzialmente sono presenti le donne, ma senza il portato del femminismo. Senza cioè quel messaggio non competitivo, cooperativo, che aborrisce la violenza e che è contrario alla guerra.
Voi volete smascherare la narrazione ufficiale rispetto alla NATO, ovvero che sia un patto eminentemente difensivo, quando invece sappiamo che in realtà l’alleanza si espande. Oltre ad allargare l’adesione agli Stati che vogliano farvi parte, anche attraverso le proprie basi militari.
Sì. È un’entità che, sebbene cerchi di inglobare nuovi soggetti, come ha fatto con il Giappone, per appunto circondare la Cina e la Russia, è sostanzialmente un soggetto autoritario ed è estremamente parziale dal punto di vista geografico, perché chiaramente difende essenzialmente gli interessi dell’Occidente. Per le basi sono poi stati scelti storicamente dei luoghi incontaminati, bellissimi. Spesso delle isole trasformate in luoghi contaminati e di grande sofferenza. Personalmente, come italiana, ho consegnato a Clare Daly e a Özlem Demirel, una serie di dossiers relativi alla Sardegna e legati a diversi aspetti, ovvero alla criminalizzazione dei difensori dei diritti ambientali e in particolare faccio riferimento ai quaranta attivisti incriminati per l’operazione “lince”, accusati addirittura di terrorismo. La problematica relativa al fatto che non esiste un registro dei tumori in Sardegna, il fatto che la legge, il testo unico dell’ambiente, non include le attività militari nell’esame delle attività contaminanti e pericolose, e poi anche le questioni legate alle proposte che fanno i militari per fare delle bonifiche, sempre però trascurando aspetti fondamentali e con l’intento non di ritirarsi dalle attività militari, ma di ripristinarle… mi riferisco alla cosiddetta penisola Delta. C’è poi anche il problema dell’espansione della RWM, che è stata bloccata, ma per la quale c’è un contenzioso. Ci sono veramente molte vittime in Sardegna a causa delle attività militari nelle basi. Persone che sono nate con delle modificazioni genetiche, cioè che a causa delle contaminazioni provocate da queste attività, sono nate con malformazioni. Ci sono persone in uno stato di grande sofferenza. E quindi ho consegnato questi dossiers insieme a un testo che abbiamo commissionato, unitamente a venti associazioni di cui è capofila l’associazione Abbasso la guerra, a IALANA, l’International Association of Lawyers Against Nuclear, sulla illegittimità della presenza di armi nucleari in Italia. Questi due materiali sono stati consegnati alle due europarlamentari con un chiaro invito a compiere una missione di ascolto e di visita alla Sardegna.
Che aria si respirava durante i vostri tavoli e cosa è emerso di significativo dal lavoro seminariale?
La presenza era di donne veramente molto affiatate in un atteggiamento orizzontale e di grande collaborazione. È stata un’iniziativa organizzata con pochissime risorse, basata su una precisa volontà di non arrendersi e non fare assolutamente passare certi messaggi ma contrastarli e fare chiarezza. Dimostrare tutta l’opposizione in maniera costante. Tra i risultati più importanti è stata emanata una dichiarazione sintetica contro l’uso delle bombe a grappolo e l’uso dell’uranio impoverito. Le donne si sono divise in gruppi di lavoro che continueranno le loro attività in futuro. Un gruppo, su ispirazione dell’Osservatorio italiano contro la militarizzazione delle scuole, diventerà un osservatorio mondiale, e il tema verrà trattato da un punto di vista comparativo. Un secondo riguarderà il rapporto fra militarismo e ambiente, e un terzo continuerà a lavorare sulla manipolazione della risoluzione n. 1325 (2000) del Consiglio di sicurezza. Quindi sulla non militarizzazione delle donne e sull’investimento delle donne nella mediazione, nella prevenzione di conflitti e nella protezione delle vittime dei conflitti. L’ultimo gruppo verterà sul coinvolgimento del Sud globale, riconosciuto come appunto una delle grandi speranze anche rispetto alla possibile soluzione del conflitto russo-ucraino, e cioè l’idea del Brics e dei paesi del Sud Globale di aumentare il dialogo e il loro coinvolgimento. Un osservatorio molto importante, perché molti piani nazionali di attuazione della 1325 sono appunto sporcati dall’ ingerenza della NATO che invece ha fatto propria la risoluzione e ha cercato sempre più di investire in giovani donne nei ruoli apicali. E purtroppo molte ci sono cascate.
È molto interessante quello che emerge, perché c’è chiaramente la lotta al patriarcato e ai suoi mezzi più infimi nelle vostre istanze. Proprio perché i piani di guerra appartengono alla sua logica di autorità e ad una visione improntata ancora all’imperialismo e al colonialismo. Quindi, da qui la speranza riposta verso i paesi decolonizzati?
Sì, assolutamente. La consapevolezza che la Nato abbia un suo nocciolo molto legato alla dimensione occidentale, alla difesa armata e non democratica delle proprie prerogative è chiarissima. Infatti, le voci che si sono sollevate per raccontare i danni causati ovunque nel mondo, erano voci del Sud Globale. Gli incontri che si sono svolti il 7 e l’8 luglio sono proprio partiti con le analisi relative all’Europa per poi spostarsi all’Africa, al Nord America, all’America Latina, e poi a tutta l’Asia-Pacifico. C’erano voci mondiali e per questo è stato molto importante. C’è l’idea di rivedersi il prossimo anno a Washington, e soprattutto, considerando molto importante la funzione dell’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e per la Cooperazione, una delle proposte è di organizzare nel 2025 una grossa conferenza con una nuova impostazione sicuritaria che rispecchi invece i principi di Helsinki e quindi la cooperazione fra est e ovest. Così come la lotta comune ed unita verso i grandi problemi del mondo. Si è infatti anche parlato molto di dimensione culturale, cioè dell’importanza di fare cultura e arte nel pacifismo, e non è un caso che la convitata ucraina alla conferenza si occupasse di minoranze linguistiche. C’è poi stato chiaramente il riferimento anche alla guerra in corso che per noi può essere bloccata soltanto mettendo a tacere il militarismo.
Sono però rare le voci che parlino concretamente di trattative di pace e assistiamo invece a un’ulteriore escalation. Trovo quindi importante comprendere le caratteristiche delle donne nel diverso approccio alla risoluzione dei conflitti o anche alla loro prevenzione. Si possono delineare queste specificità?
Le donne sono vicine alle vittime, cioè non tollerano la perdita e la morte ed è per questa ragione che sono per la mediazione. Per le donne nel femminismo c’è l’egualitarismo, il ripudio della violenza. C’è invece la dimensione della non gerarchia, della non competizione, della collaborazione. La cifra delle donne è totalmente diversa ed è inaccettabile che abbiano proposto una politica estera femminista militarizzata che metta al centro la guerra. Che legittimi la guerra. Questo è stato un grosso tradimento dei valori e dell’impegno di generazioni e generazioni di donne che sono partite da altre convinzioni e che hanno specificato che la guerra è l’ultima cosa che debba avvenire. Ora siamo arrivati addirittura al punto che la pace deve essere ottenuta in maniera bellica. Ecco, questo è veramente un mescolare le carte in tavola. E chi fortunatamente ha una forte identità, lo svela in maniera inequivocabile.
[1] https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N00/720/18/PDF/N0072018.pdf?OpenElement
[2] https://womenagainstnato.org/wp-content/uploads/2023/08/Italian-translation_Declaration_July.pdf
[3] https://wilpfitalia.wordpress.com
[4] https://womenagainstnato.org/wp-content/uploads/2023/07/Common-Statement-on-No-Cluster-Bombs-and-No-Depleted-Uranium_9.07.23.pdf