La parabola venezuelana: un socialismo al tramonto

La parabola venezuelana: un socialismo al tramonto

| Dalla morte di Chávez, in Venezuela è iniziato un declino decennale che non smette di infiammare il dibattito |

Proposte N. 2 – Febbraio 2023

Da anni protagonisti dei media internazionali, Maduro e il suo Paese lo sono anche in questa intervista al giornalista Pareggiani

Lo scorso 12 gennaio, il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha detto all’Assemblea Nazionale che “una nuova era sta arrivando per unire gli sforzi e i cammini dei popoli dell’America Latina e dei Caraibi”. Al potere dal 2013, Maduro è stato subito al centro di polemiche: pur seguendo il cammino tracciato da Chávez, suo predecessore, in questo ultimo decennio ha portato il Paese ad una crisi economica e umanitaria senza precedenti.

Facciamo dunque un’analisi al riguardo insieme a Riccardo Pareggiani, fotogiornalista e ricercatore presso Independent Diplomat.

Negli ultimi anni, il Venezuela è comparso sempre più spesso nei media occidentali per via di una forte ondata migratoria: quali sono le principali ragioni di tale migrazione?

Ad oggi sono quasi 7.5 milioni i venezuelani in diaspora, 1.5 in Colombia, 800.000 in Ecuador e molti anche in Europa. Tra il 2014 e il 2017 ci sono intense manifestazioni a seguito della morte di Chávez e della presa di potere di Maduro, che stringe la morsa sui dimostranti: all’interno del Paese si crea dunque una situazione di grande tensione ed instabilità, a cui si aggiungono un impoverimento catastrofico dovuto all’embargo messo dagli USA e l’impossibilità di produrre greggio ed esportarlo come si faceva prima.

Nella storia politica del Venezuela, è innegabile la rilevanza di Chávez, sia essa connotata positivamente o negativamente. Con che aggettivi lo descriverebbe?

Personalmente mi discosto dall’ideologia e trovo che in un primo momento fosse veramente un nuovo libertador. È stato un innovatore e un rivoluzionario, poi capita spesso che il potere logora chi ce l’ha, e questo ha fatto sì che la sua idea di socialismo cattolico degenerasse.

Descriverebbe Maduro, suo successore, con gli stessi aggettivi?

No, lo descriverei come un burbero sanguinario e paranoico. Ha preso ciò che diceva Chávez e che poteva aver senso (perché la costruzione di una società socialista in modo virtuoso implica che tutto è preso in mano dallo Stato con lo scopo di ridistribuirlo): però non ha assolutamente capito il discorso della redistribuzione, anzi ha accentrato tutto dando il potere ai militari.

Quattro anni fa, durante le proteste, Guaidó si autoproclamava presidente ad interim: come crede sia stato percepita questa figura in Venezuela?

La parabola di Guaidó è molto interessante, perché fa capire come un personaggio venga creato e smantellato. È stato considerato come una sorta di salvatore della patria, un dio sceso in terra, ma purtroppo era completamente agganciato agli Stati Uniti. Diciamo che, ora che anche gli USA l’hanno mollato, il suo appeal è completamente scemato.

All’epoca furono resi noti dei contatti tra Guaidó e gli Stati Uniti. Che ruolo crede che gli USA abbiano avuto – nella storia del Venezuela e magari anche di altri Paesi del Centro e Sud America?

Tali non sono mai stati un grande segreto. Ricordo che nel 2019 John Bolton, Capo della Sicurezza durante la presidenza Trump, fece intravedere un foglio in cui si leggeva “5000 troops to Colombia”: si parlava di un ingresso di militari statunitensi in appoggio a Guaidó. Non dimentichiamo poi che nello stesso anno, sui ponti di Cúcuta (confine colombo-venezuelano), Guaidó rientrò nel Paese con dei camion di USAID.

In generale, gli USA hanno una storia abbastanza negativa nei rapporti col Sud America, perché l’hanno sempre considerata il loro backyard: l’Operazione Condor, i Contras, la Baia dei Porci… Hanno provato in tutti i modi a gettare le loro basi in questo continente – da sempre di stampo socialista, se non comunista – per impedire che facesse passi in una direzione contraria alla loro.

Chávez si contrappose in modo molto deciso agli Stati Uniti. Crede che avesse ragione a considerarli la causa principale delle difficoltà economiche del Venezuela?

Chávez si è contrapposto agli Stati Uniti perché loro si sono sempre attivati per ottenere cambi di regime nel Paese, come in Nicaragua, a Cuba… Inoltre, gli interessi degli USA nel petrolio venezuelano erano estremamente grandi ed aggressivi. Ora anche Biden, data la crisi del gas, è tornato a Caracas e ha tolto il Venezuela dalla lista dei public enemies per avere il greggio.

Molto brevemente, come descriverebbe la situazione del Venezuela in questo momento? E come crede che potrebbe essere tra qualche anno?

La situazione è drammatica. C’è un’indagine formale aperta presso la Corte Penale Internazionale per sequestri, sparizioni, torture. Considerando che il Venezuela ha 30 milioni di abitanti, 7 milioni di espatriati sono un dramma, segno di una grande crisi, un governo sanguinario e uno stato di diritto assolutamente annullato.

Un cambiamento è necessario – quando non è imposto, per tornare al problema degli Stati Uniti. L’anno prossimo ci saranno le primarie dell’opposizione, ma i presupposti non sono buoni.

Il Venezuela appare come un Paese allo stremo. Grazie al petrolio era uno dei più ricchi al mondo: negli anni ’80-’90, se i venezuelani chiedevano 2 galloni di benzina, li ricevevano assieme a 20 dollari, tanto era il petrolio che avevano. Ora il Paese è in ginocchio, ma va tenuto sott’occhio perché è sempre al centro della geopolitica.

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Maria Casolin