La tirannia di un ideale di perfezione

Cosa sono i DCA?
I disturbi del comportamento alimentare (DCA), di cui anoressia e bulimia sono le forme più note, negli ultimi anni sono diventati una vera e propria emergenza sociale e sanitaria. Come riportato da alcune statistiche ISTAT, in Italia muoiono di anoressia e bulimia più di tremila persone l’anno.
I DCA tra le prime cause di morte per malattia
Il DCA si configura così come la prima causa di morte per malattia per individui compresi tra i 12 e i 25 anni e di questi il 90% sono di sesso femminile. Anche l’effetto lockdown ha influito pesantemente all’insorgenza di questa patologia nonché alla riacutizzazione di situazioni pregresse che erano sotto controllo.
La reclusione domestica ha infatti avuto un impatto destabilizzante sulla sfera psicologica emotiva di questi ragazzi. Ma in che cosa consistono e in che cosa si differenziano tra loro anoressia e bulimia? Come interpretarne i sintomi per poterle prevenire?
L’anoressia nervosa si caratterizza per un’eccessiva preoccupazione verso il proprio peso corporeo ed un’errata percezione del proprio corpo che porta ad una distorsione dell’immagine di sé stessi. La perdita del peso è ottenuta attraverso diete ferree e eccessiva attività fisica.
La bulimia, d’altro canto, è caratterizzata da episodi di abnormi ingestioni di cibo che in genere portano a un forte senso di colpa che degenera nell’espulsione del cibo ingerito tramite vomito autoindotto, uso di lassativi ecc.
Quali sono le cause dell’insorgenza di tali disturbi e in quale forma è possibile oggi intervenire per prevenire e curarli?
Per rispondere a tali quesiti abbiamo interpellato la dottoressa Flavia Posabella, vicepresidente dell’Associazione PHILOS ONLUS che dal 2003 opera su Roma a sostegno e tutela dell’infanzia e dell’adolescenza.
Di che cosa si occupa PHILOS ONLUS?
L’Associazione porta avanti dei progetti di psicoterapia e di intervento psicologico con obiettivo sociale.
Come nasce un disordine alimentare?
Un disordine alimentare è complesso perché ce ne sono vari tipi. Dato che il nostro approccio è di tipo sistemico-relazionale familiare, ed è quello che finora risponde maggiormente alle richieste nel comprendere disordini di questo tipo, siamo convinti che questo disturbo nasca dal contesto familiare. Sono disordini complessi che non riguardano solo il cibo ma riguardano la sostituzione di alcune modalità dipendenti con modalità di compensazione. Quest’ultime spesso sfociano in disordini alimentari.
Quanto è importante lavorare sul contesto familiare e perché?
È importantissimo perché di solito chi ha un disordine alimentare sta esprimendo una comunicazione che ha a che fare con la famiglia, ma non con i singoli elementi, ma bensì con il sistema familiare. È come se una persona in fase di crescita in un determinato ambiente ad un certo punto si trova con la necessita di modificarlo e manifesta, quindi, un bisogno trasformativo. Nell’ambito dei DCA il bisogno trasformativo è “malato”.
Quanto possono diventare pericolosi questi disturbi se non affrontati in tempo?
Dipende da caso a caso, direi che in generale esistono delle condizioni; certamente la prevenzione è la cosa principale ma d’altronde parliamo di prevenzione anche per tutti gli altri disagi soprattutto quelli psicologici.
Se questo tipo di disturbo viene affrontato in tempo cioè a metà o all’inizio di un cambiamento è possibile che non si strutturi in una modalità malata. Inoltre, se si parla di dipendenza è chiaro che poter modificare dei comportamenti o delle letture della famiglia, dei ruoli, delle funzioni e di quello che può essere lo stare all’interno delle relazioni intime è meglio farlo da piccoli anche per le possibilità e la malleabilità della struttura della personalità.
Come viene vissuta questa problematica in famiglia?
L’aspetto anoressico è uno di quei disturbi abbastanza visibile e struttura una relazione di controllo all’interno di tutta la famiglia. Questo tipo di controllo, sia sul cibo che sul mangiare, diventano l’elemento centrale della comunicazione familiare.
Sull’altro versante quello della bulimia è molto più difficile individuare il disturbo nel contesto familiare perché più nascosto e segreto.
In che modo l’aspettativa e la pressione sociale contribuiscono all’insorgere di queste patologie?
Ogni dipendenza nesce da un bisogno. Quando ci si scontra con un malessere s’innesca un bisogno trasformativo con quello che accade intorno. La società ha un impatto forte rispetto a una persona che sta vivendo questo malessere.
L’incontro con i modelli che la società soprattutto quella occidentale ci propone ovvero un corpo perfetto, la ricerca quindi della perfezione sia interiore che esteriore, scatena nell’individuo una serie di moti interiori che lo guidano verso quello che la società propone che altro non è che una forma di autodistruzione.
Secondo lei come possiamo aiutare questi ragazzi? Quali sono i percorsi e/o le iniziative che si possono intraprendere?
Sicuramente la prevenzione non è la psicoterapia semmai quest’ultima è lo step finale, la cura.
Questa generazione sta portando un bisogno di punti di riferimento che non consiste solo nel cambiare un modello da magro a un curvy. Quello che si può proporre è la possibilità di intraprendere un percorso che sia di sviluppo della personalità anche di svincolo familiare; se noi immaginiamo che all’interno di una società come quella nostra, la possibilità di autonomia è limitata sia per motivi economici che sociali è chiaro che stiamo parlando di un intervento molto complesso.
L’allarme che noi stiamo dando è il fatto che si sta sviluppando la consuetudine che punta al concetto di autonomia totale, d’indipendenza, di controllo delle proprie emozioni. In questo contesto non si parla più di relazioni intime di sentimenti, ma c’è solo un grande investimento su quest’idea di validi esseri umani super potenziati.
Quindi direi che l’orientamento principale sta nel rieducare genitori e insegnanti o comunque tutte le persone che si occupano degli adolescenti e dei bambini.
Inoltre è necessario eliminare questo concetto di competizione, di potere, di essere idealmente perfetti cercando di lavorare piuttosto sulla propria personalità e sulle proprie attitudini. Ovvero focalizzarsi su quello che una persona realmente e autenticamente può fare, vincendo l’idea del fallimento visto come perdita, e portare il tale concetto di fallimento ad una visione di cambiamento e trasformazione. Quindi possiamo cominciare a pensare che non sono tanti gli strumenti pericolosi ma che il pericolo vero e proprio è nel messaggio che noi stiamo dando come adulti ed educatori.
I nuovi narcisi sono dei zombie
La dittatura del modello è un approccio all’accettazione del proprio corpo seguendo modelli stabiliti dalla società. È ormai fin troppo evidente che la moda, la pubblicità per anni e oggi i canali social hanno inneggiato e inneggiano all’anoressia.
Obiettivi altissimi che richiedono sforzi fisici e psicologici disumani. I nostri figli schiavi di una tirannia dell’apparire vivono la proiezione di quello che vorrebbero essere ma che si scontra brutalmente con quello che non sono. Ricerca della perfezione, narcisismo smisurato, voglia di essere belli e perfetti non solo per sé stessi ma soprattutto per gli altri. Voglia di riempire un vuoto immenso in cui riecheggia in fondo una richiesta d’amore.