La vita in un campo profughi

La  vita in un campo profughi

Troppe persone vivono come intrappolate nei centri profughi, luoghi che diventano il loro mondo, nei quale il tempo scorre diversamente o, addirittura, si è fermato

I Paesi più industrializzati si sono dimenticati degli ultimi, di tutti coloro (donne, bambini, uomini ed anziani) rinchiusi ingiustamente in terre di confine dove non vige alcuna giurisdizione ma dalle quali non si può fuggire. Questo articolo ricorda come si vive in due tra i più grandi campi profughi al mondo

Le guerre imperversano sulla Terra, i popoli non riescono a vivere in pace ed in serenità e ciò che ne consegue è di avere tantissime (troppe) persone continuamente in fuga da una realtà che non permette la libertà e la ricerca della serenità. Il fenomeno dei migranti non è esclusivo dei nostri tempi ma ci siamo abituati ad una narrazione politica che, invece, sembra trattarla come una piaga sociale contemporanea che va gestito a tutti i costi per avere il minore impatto sulle nostre vite.

Si fugge, invece, e lo si fa in massa: secondo l’organizzazione internazionale UNHCR – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – si sarebbe arrivati a circa 36,4 milioni di rifugiati nel Mondo.

due mani vicine a creare un mappamondo
foto di stokpik da Pixabay

Queste persone sono fuggite da situazioni di difficoltà, impossibilitati a far crescere i propri figli o di sopravvivere essi stessi.

Va, infatti, ricordato che ciò che spinge questi poveri e sfortunati esseri umani ad abbandonare le terre natie possono essere guerre o guerriglie (si contano circa 147.000 eventi di conflitto o scontro con almeno 167.800 vittime accertate nell’anno scorso) come anche calamità naturali.

A fornire questi dati ci viene in aiuto il report annuale di ACLED Conflict Index 2024 che (a gennaio di quest’anno) ha stilato questi drammatici dati cercando di attirare l’attenzione su questo gigantesco problema che deve interessare tutti noi. Ciò che appare evidente da questo report è una situazione di continua violenza alla quale vanno anche sommati episodi di carestie legate, soprattutto, al surriscaldamento terrestre e alle calamità naturale ad esso connesse.

Possiamo iniziare da ciò che si è verificato, per esempio, in Somalia a partire dal 1991 con il colpo di stato al quale, nel corso degli anni, si è susseguita una situazione politica locale paralizzata da continui rimandi elettorali fino a portare il Paese somalo ad un’impasse vera e propria. Ci sono state ripetute carestie legate alla siccità che hanno costretto la popolazione a fuggire e trovare riparo proprio in un centro noto come Daadab. In questi Paesi la popolazione muore o fugge, è bene ricordarlo, per non incappare nell’errore di pensare che (per queste povere persone) sia stata una scelta presa a cuor leggero.

Proprio una situazione come questa ha portato ad una migrazione selvaggia conducendo questi migranti a diventare profughi nel centro di Daadab (in Kenya) che è uno dei centri profughi più grandi al mondo contando circa 400.000 profughi registrati. Da quella prima ondata ne sono succedute molte altre e quel campo profughi è ancora lì e sono passati 33 anni.

Esiste un campo profughi, se possibile ancora più difficile, etichettato come il più grande al mondo e che si trova in Bangladesh (il capo profughi di Cox’s Bazar); qui si vede al centro della migrazione un altro popolo drammaticamente perseguitato ovvero gli ex abitanti del Myanmar.

Ad oggi questo centro profughi dovrebbe essere arrivato ad ospitare 884.041 dei quali il 52% sono bambini e per la maggior parte appartenenti alla etnia dei Rohyngya ma non solo. La situazione in questi centri (nati, occorre ribadirlo, per proteggere temporaneamente queste persone in fuga) è drammatica e questi luoghi sono diventati quasi delle città stabili ma senza esserlo fino in fondo.

Si tratta di vere e proprie baraccopoli prive di legalità e che si basa su ciò che gli viene fornito dalle organizzazioni internazionali attive in quel territorio e nulla di più. In questi centri si può capire, in base alla tipologia abitativa, da quanto tempo si vive lì: piccole abitazioni di lamiera sono subentrate alle tende fatte di teli di plastica e pezzi di tela, si vive privi di porte e finestre e, quindi, anche di protezione.

donna in preghiera ed implorante aiuto
foto di Edward Pye da Pixabay

Ciò che turba i volontari che operano quotidianamente in questi luoghi è il costatare che i Paesi ricchi si siano dimenticati della loro esistenza, che li abbiano racchiusi in una zona lontana trasformandoli in una sorta di spettri.

In realtà quali Cox’s Bazar, come anche a Daadab, regna la povertà e la fame che, quindi, sfocia nell’illegalità e sono molto frequenti le violenze fisiche (su minori e donne) oltre che i rapimenti degli stessi bambini.

Tutto questo va sommato ad una staticità infinita di queste persone che, nella maggior parte dei casi, sono inizialmente fuggite dalle loro terre d’origine con pochissimi viveri e che, ora, non hanno praticamente più nulla con sé nemmeno per poter cercare di andare via da questi centri profughi e dalla loro prigionia senza fine!

Proponiamo anche un articolo di approfondimento Un vento potrebbe spazzare via la legalità dal Sudamerica nella sezione di politica internazionale

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Ludovica Cassano