Medio Oriente, sfiorata l’escalation
Washington ha lanciato la rappresaglia in risposta a un’offensiva iraniana che a gennaio ha ucciso tre militari statunitensi. Teheran: “L’ennesimo errore strategico. Risponderemo con forza ai bulli”. Damasco e Baghdad condannano gli attacchi.
È da poco scattata la mezzanotte (ora locale) del 2 febbraio, quando numerosi aerei americani colpiscono con più di 125 ordigni 85 obiettivi legati all’Iran in sette località di Siria e Iraq. Trenta minuti di attacchi che hanno provocato la morte di più di trenta persone, fra cui civili. «I bombardieri B-1 hanno volato su un’unica rotta dagli Stati Uniti e sono stati in grado di fare rifornimento in volo» ha condiviso soddisfatto il Generale Douglas Sims. Il movente della rappresaglia è stato l’attacco iraniano che a fine gennaio ha causato la morte di tre soldati statunitensi in una base a nord della Giordania. Da allora, secondo quanto riportato dal portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca John Kirby, Washington non ha più avuto contatti con Teheran. «Nessuna minaccia rimarrà senza risposta» aveva detto il Presidente Joe Biden. E sebbene qualche critico contesti il ritardo di quasi una settimana nella risposta, gli esperti hanno ribattuto sostenendo che le tempistiche sono state studiate per permettere all’Iran di ritirare il personale, evitando così un conflitto più ampio.
«Gli attacchi contro Iraq e Siria sono stati un’altra azione avventurosa e un altro errore strategico del governo americano, che non avrà altro risultato se non quello di intensificare le tensioni e l’instabilità nella regione» ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani. Non si sono fatte attendere anche le denunce dei due Paesi coinvolti in prima linea. Il governo iracheno, in una nota, ha definito le aggressioni statunitensi “minatorie per la sicurezza della regione”. Da Damasco, il Ministero degli Affari Esteri ha sottolineato come questi siano serviti a “infiammare ulteriormente il conflitto in Medio Oriente”, definendo gli Stati Uniti la “principale fonte di instabilità globale”.
«Gli Stati Uniti sono la dreamland per i siriani, ma allo stesso tempo un nemico per il governo» ci dice Yousef (nome di fantasia), giovane siriano emigrato in Germania. «Per il governo, tutto quello che sta accadendo ed è accaduto negli ultimi anni è stato pianificato da Washington». A questo proposito, dopo la rappresaglia americana, le forze militari di Damasco hanno evidenziato come l’area presa di mira dagli attacchi sia la stessa in cui l’esercito arabo siriano sta combattendo i resti dell’Isis. Questo, quindi, confermerebbe il coinvolgimento degli Stati Uniti e delle loro forze militari con l’organizzazione terroristica al fine di “rilanciarla con tutti i mezzi possibili”. «Ci sono diverse teorie legate all’Isis» racconta Yousef. Una di queste è, appunto, quella che sostiene che sia stato fondato dagli Stati Uniti per distruggere il governo siriano. Un’altra asserisce che l’obiettivo dell’Isis sia quello di proteggere i curdi e di dar loro una terra unendo parti di Iraq, Siria e Turchia. In ognuna di queste, comunque, gli Stati Uniti sembrerebbero grandi sostenitori del gruppo. «Da anni il governo fa brainwashing sulla popolazione, asserendo agli Usa il ruolo di nemico. Vien da sé che molti siriani li considerino come tale, un Paese cristiano che prova a inculcare la sua ideologia nei Paesi arabi. Tuttavia, qualora vi fosse la possibilità di volare in America, i cittadini siriani non ci penserebbero un attimo».
Di tutt’altra natura è, invece, la relazione con Teheran. «L’Iran vede nella Siria un posto sicuro per le forze sciite e la Siria ha trovato nell’Iran un alleato nella sua guerra all’Isis» spiega Yousef, parlando dell’alleanza storica che lega i due Paesi. Pur non colpendo direttamente il territorio iraniano, quindi, la Casa Bianca ha voluto lanciare un chiaro monito, prendendo di mira le milizie filo-iraniane e le basi della Guardia Rivoluzionaria in Siria e Iraq. Dallo scorso ottobre, l’esercito americano ha effettuato diversi attacchi contro depositi di armi iraniane nei due Paesi a fronte di svariate offensive, ma l’ultimo è stato senza precedenti.
In seguito all’episodio l’Iran ha dichiarato di non volere un conflitto più ampio, ma “risponderemo con forza ai bulli” ha detto il presidente Ebrahim Raisi. Intanto da Washington, Biden ha affermato che gli Stati Uniti non cercano il conflitto in Medio Oriente, ma la risposta americana “continuerà nei tempi e nei modi di nostra scelta”. Quanto a una replica della Siria, invece, Yousef si dice dubbioso. «Già in passato si sono manifestate situazioni analoghe e il governo non ha mai fatto niente. Dopo 13 anni di combattimenti l’esercito è esausto e la situazione economica drammatica». Poco dopo, però, ritratta. «Non credo che succederà niente a meno che non intervenga Hezbollah, in quel caso ci sarebbe un’escalation. Per loro si tratta di una questione religiosa».