Meno ore, più produttività e occupazione

Una proposta innovativa nel mondo del lavoro

Francesco Seghezzi ci spiega se questo cambiamento può funzionare

 

Riduzione dell’orario di lavoro da sei a otto ore. È questa la proposta del Primo Ministro finlandese Sanna Marin la quale sostiene che una riduzione del turno possa incidere sulla produttività di un’azienda. L’esponente socialdemocratico crede fortemente nel fatto che una diminuzione della giornata lavorativa possa incrementare la produttività e l’assunzione di forza lavoro, specie in questo periodo storico definito dalla pandemia.

Una proposta avanzata dalla Finlandia, prima che la Marin diventasse Primo Ministro, e da altri Paesi come la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda, l’Austria e l’Italia, cui Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha ipotizzato un taglio dell’orario lavorativo compensato dalla retribuzione dello Stato a patto che l’azienda reintegri l’organico. Tuttavia ci sono Paesi dove questa idea non è un’utopia e, quindi, è già stata attuata. In Olanda, la settimana lavorativa è di quattro giorni per un totale di 29 ore totali, mentre in Svezia la riduzione è stata attuata nelle aziende private.

Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico),il Paese dove si lavora più ore annualmente è il Messico (2.257), seguito da Costa Rica (2.179), Corea del Sud (2.024), Russia (1.980), Cile (1.954) e Grecia (1.906). Al contrario, i Paesi dovesi lavora il minor numero di ore annue sono Germania (1.356), seguita da Danimarca (1.408), Norvegia (1.419), Olanda (1.433), Svezia (1.453), Islanda (1.461), Austria (1.487), Francia (1.514) e Regno Unito (1.681). L’Italia, con 1.723 ore lavorative annue, si colloca vicino alla media (1.759). Il nostro Paese, dopo Grecia ed Estonia, si colloca, infatti, tra i Paesi dove si lavora di più settimanalmente, per la precisione 33 ore, ovvero 3 ore in più sopra la media europea. Ciononostante è uno degli Stati con livelli di produttività tra i più scarsi del continente, al contrario della Germania che, malgrado la media più bassa di ore settimanali lavorate, riesce a mantenere una produttività alta, a riprova del fatto che, a monte ore di lavoro, non è associata un’alta produttività.

Alla luce di questi dati molti sono, dunque, gli Stati che avanzano la proposta di una riduzione del turno lavorativo, tra queste la Finlandia, malgrado molti i dubbi sull’efficienza di questo cambiamento sia dal punto di vista delle aziende, sia dei dipendenti. Può, davvero, funzionare un taglio dell’orario lavorativo, conseguendo un incremento della produttività? Francesco Seghezzi, Presidente della Fondazione ADAPT (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali) spiega quanto questo cambiamento possa incidere sul mercato del lavoro.

“Dal mio punto di vista, la riduzione dell’orario lavorativo dovrebbe essere una conseguenza di un aumento di produttività perché, in caso contrario, sarebbe un danno per le imprese. Ad ogni modo – aggiunge -. l’idea va presa in considerazione. Per quanto mi riguarda, l’orario di lavoro va messo a tema. Settore per settore e, se possibile, azienda per azienda, cercando di capire come si fa a guadagnare produttività e a ridistribuirla non soltanto sui salari, ma tenendo conto le ore di lavoro”.

Nonostante l’associazione ne avesse già discusso nello scorso decennio in merito all’introduzione di una tecnologia che consentiva di impiegare meno forza lavoro, producendo allo stesso modo, il dibattito è ancora aperto e prevede buone prospettive.

“Dunque abbiamo buone possibilità anche oggi. Però, ecco, per me si tratta di un discorso differenziato in base al tipo di settore e azienda e legato alla produttività. E le dinamiche della produttività cambiano in base al settore”.

Infatti, in Germania, dove la produttività è tra i livelli più alti, l’IG Metall propone alle aziende del settore metalmeccanico una riduzione delle ore lavorative. Tuttavia, questo principio non può essere applicato per legge a tutti settori, secondo Seghezzi.

“Farlo indistintamente da un momento all’altro risulterebbe un danno, qualcosa di insostenibile per le imprese, soprattutto per quelle dove in questo momento si fa fatica ad aumentare la produttività”.

Parole ben decise e riflessive quelle di Seghezzi che riflette su un’eventuale riduzione dell’orario lavorativo in misura al periodo storico che stiamo vivendo, segnato dalla pandemia e che sta assistendo a una lenta ripresa dei settori. Un’imitazione dei Paesi europei, da cui sicuramente l’Italia sta prendendo ispirazione per tanti aspetti, potrebbe rivelarsi una risorsa in termini di salute e ambiente ma, dal punto di vista economico, quello su cui invita Seghezzi è riflettere su questo cambiamento: può essere positivo per un Paese che già prima della pandemia stava facendo i conti con una situazione economica e lavorativa in lenta ripresa e che, in questo momento, si trova a raccogliere i cocci di un’interruzione economica di tre mesi che ha bloccato la produzione di molti settori?

 

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Paola Sireci