Polonia, fra due poli opposti
Da un lato una coalizione moderata ed europeista, dall’altro un partito di estrema destra e nazionalista. Nonostante la vittoria alle elezioni della Coalizione Civica, il presidente Duda ha deciso di affidare al PiS l’incarico di formare un nuovo governo.
Lo scorso 15 ottobre, in Polonia, si sono tenute le elezioni legislative che hanno segnato un parziale cambio di rotta nella società, sia da un punto di vista politico che dell’affluenza. Con il 74% dei votanti, è stata la tornata con la maggiore affluenza alle urne dalla fine del comunismo.
«Questa è la fine dei tempi bui» aveva affermato Donald Tusk, a capo della Coalizione Civica moderata ed europeista uscita vincitrice dalla tornata. Formata dal partito di centro-destra dello stesso Tusk (Piattaforma Civica), quello di sinistra (Nuova Sinistra), e quello di centro (Terza Via), la coalizione ha registrato il 53,5% dei consensi. Il partito nazionalista di estrema destra Diritto e Giustizia (PiS) – al potere da otto anni – si è quindi visto costretto a fare un passo indietro. Il 35,3% di voti ricevuti, che lo hanno reso il singolo movimento più votato della nazione, infatti, non sono stati sufficienti a garantirgli la maggioranza di seggi in Parlamento, neanche se sommati a quelli dell’altro partito di estrema destra, Konfederacja (7,1%).
Centrali durante la campagna elettorale sono state in particolare tre tematiche. Prima fra tutte, i diritti delle donne. Secondo alcuni analisti, la promessa di Tusk di apportare una riforma alla legge sull’aborto ha generato una mobilitazione senza precedenti fra le cittadine, che è risultata fondamentale per l’esito delle elezioni.
Altro tema caldo, la questione dell’invasione russa. Mentre il PiS si è mostrato più critico nei confronti dell’Ucraina – pur provvedendola di aiuti –, la coalizione ha promosso un supporto sia politico che sociale, del tutto in linea con il sentimento generale dell’opinione pubblica.
Infine, le migrazioni, in quanto la coalizione ha adottato toni più morbidi rispetto a quelli nazionalisti e duri di Diritto e Giustizia, anche se molti poi pensano che la differenza stia più nei modi che nella sostanza.
Nonostante i risultati schiaccianti delle elezioni, il 6 novembre il presidente della Polonia, Andrzej Duda, ha annunciato il conferimento dell’incarico di formare il nuovo esecutivo a Mateusz Morawiecki di Diritto e Giustizia. La presa di posizione del presidente è stata da molti associata al suo stesso passato nel PiS. Tuttavia, la Costituzione prevede che sia il partito con il maggior numero di voti a provare a formare un governo. E questa è la che strada ha deciso di intraprendere anche Duda.
Morawiecki presenterà il suo governo di minoranza il 4 dicembre. Tuttavia, i numeri non sono dalla sua parte. Dopo le elezioni, infatti, la coalizione moderata occupa 248 dei seggi parlamentari e per ottenere la maggioranza bastano 231 voti. Di conseguenza, le probabilità di successo del nuovo governo Morawiecki sono limitate. «Le possibilità sono basse, ma non nulle» ha affermato il viceministro degli Esteri Paweł Jabłoński. A questo riguardo si è espresso anche Wojciech Kolarski dell’ufficio del presidente: «Chi non combatte non vince».
Nel caso in cui Morawiecki non incontrasse il parere favorevole della maggioranza, sarà il Parlamento stesso a eleggere il nuovo candidato, che con tutta probabilità sarà proprio Donald Tusk.
Dalla formazione di un ipotetico governo più moderato, gli analisti si aspettano un sostanziale cambio di marcia nella gestione di diverse questioni sensibili. In primo luogo, la coalizione si è fissata di salvare la democrazia nel Paese: «È l’ultima possibilità» aveva detto il portavoce.
Donald Tusk, poi, dovrebbe ripristinare e quindi agevolare i rapporti internazionali, specialmente con le istituzioni dell’Unione Europea, che negli ultimi otto anni sono andati deteriorandosi. Fondamentale nella riuscita di questo sarebbe la sua esperienza come Presidente del Consiglio Europeo fra il 2014 e il 2019, che oltre a far riallacciare i legami con Bruxelles potrebbe sbloccare i 36 miliardi di euro di fondi dell’UE, attualmente congelati a causa di un’inazione di Varsavia sullo stato di diritto.
I diritti delle minoranze potrebbero essere ripristinati e il sistema giudiziario, la stampa e i media, fino ad ora controllati dal governo, potrebbero tornare ad essere liberi, così come i consigli di amministrazione delle società a partecipazione statale. «Li azzereremo tutti – aveva annunciato la coalizione nel suo programma –. Decideremo le nuove nomine in base alle competenze e in modo trasparente. Non lasceremo che influenze politiche o legami personali siano decisivi».
Tuttavia, le diverse anime e sensibilità politiche che formano la coalizione potrebbero portare a divergenze su diverse questioni importanti, come la liberalizzazione totale o parziale del diritto all’aborto e l’introduzione dell’Euro come moneta nazionale.
Ciò che preoccupa, inoltre, è il fatto che ogni eventuale nuova legge sostenuta da un governo Tusk potrebbe incontrare il veto di Duda e della Corte Costituzionale e che, se fosse questo il caso, la coalizione non riuscirebbe a raggiungere i tre quinti di voti parlamentari necessari per aggirarlo, bloccando così ogni processo.
Fra l’opinione pubblica, nonostante il sostegno alla coalizione, si è diffuso anche il sentimento che Tusk possa essere un uomo del passato, data la sua storia come Primo Ministro fra il 2007 e il 2014, e l’esito delle elezioni temporaneo.