Raai, finalmente il primo registro italiano che tutela e riconosce le attrici e gli attori

Raai, finalmente il primo registro italiano che tutela e riconosce le attrici e gli attori

Nato dopo il lockdown e costituito da più di 2000 iscritti è punto di riferimento per la categoria che vive da sempre tra precarietà e mancanza di tutele

Ne abbiamo parlato con Raffaele Buranelli, attore, produttore e presidente del movimento. Raai è il primo registro di attrici e attori italiani che punta al riconoscimento giuridico della professione. Una professione che merita protezione e sostegno affinché precarietà e assenza di tutele cessino di essere condizioni esistenziali di gran parte della categoria.

Di seguito l’intervista

Raffaele, lei è presidente di RAAI, Registro attrici-attori italiani, ci spiega quali obiettivi ha il registro?

Il movimento Registro attrici attori italiani, divenuto poi anche omonima associazione, è nato durante il lockdown nel momento in cui il Governo non riusciva a dare i sussidi di emergenza agli attori, semplicemente perché non sapeva chi fossero. La professione, infatti, non aveva mai avuto parametri di professionalità che le dessero riconoscimento giuridico nella sua specificità e quindi non era catalogata. Un albo degli attori non può esistere perché l’articolo 33 della Costituzione ne esclude la possibilità in campo artistico. Il registro invece individua chi svolge la professione di attore come principale e necessita dunque di tutele sociali da questo lavoro, come pensione, genitorialità, disoccupazione, malattia. Gli attori ad oggi non riescono quasi mai ad accedervi perché sono accomunati agli altri lavoratori dello spettacolo, rispetto ai quali però non riescono a generare gli stessi numeri di giornate contributive, a causa delle diverse dinamiche lavorative e anche perché non vengono riconosciute loro tutte le giornate di preparazione necessaria alla prestazione professionale. Il Registro ha la funzione di fatto di creare una categoria e ottenere il riconoscimento giuridico della professione nelle sue specificità, come richiesto dalla Risoluzione europea del 7 giugno 2007. Attualmente abbiamo sul nostro portale www.raai.it circa 2000 iscritti verificati come professionisti e abbiamo ottenuto tre proposte di legge divenute norma con la Legge 106/2022, che ha istituito i registri di tutte le professioni dello spettacolo, l’indennità di discontinuità e ha previsto il Codice dello Spettacolo.

La collaborazione con altre associazioni di categoria vi ha aiutato a raggiungere i vostri obiettivi? E se sì in che modo?

Quello che ci sta soprattutto a cuore è il dialogo con la categoria, a prescindere dall’appartenenza ad un’associazione o ad unaltra, anche perché spesso le appartenenze si sovrappongono e coincidono. Tutte le posizioni le abbiamo sempre maturate in Tavoli Aperti a tutte le attrici e gli attori professionisti. In Italia abbiamo assistito spesso a direttivi che dimenticano di interpellare la base associativa portando avanti scelte non condivise. Ecco, per evitare questo, noi facciamo di più (sorride, Ndr): Tavoli Aperti anche a chi non è socio o a chi non è registrato. Quello che, invece, crediamo che sarebbe importante è un maggior dialogo e ascolto della categoria da parte dei sindacati. Sul Contratto Collettivo Interpreti di Audiovisivo, ad esempio, questo purtroppo è mancato: dopo 5 mesi di lavoro del Tavolo Aperto di categoria, appunto, a ottobre 2022 abbiamo consegnato e presentato alla SLC-CGIL un impianto votato all’unanimità, che però è stato ignorato. Il sindacato ha proceduto con un Contratto in cui attrici e attori sono stati divisi in fasce di ruolo (secondo un modello che in tutta Europa utilizza solo la Spagna), minando così alla base l’unità della categoria e prevedendo paghe più basse per chi lavora meno giornate, cioè proprio per quella fascia più debole della categoria che da un Contratto Collettivo avrebbe dovuto ricevere maggior tutela e sostegno per avere la possibilità di essere professionista. Le paghe minime introdotte per chi non ricopre ruoli da protagonista e ha perciò ha un ridotto potere contrattuale, invece, sono purtroppo molto più basse di quelle che erano in uso per i professionisti, sono paghe con le quali per raggiungere una media di 1.500 euro al mese sono necessarie, a seconda dei casi, dalle 36 alle 90 giornate di set ogni anno, numeri impossibili da raggiungere con ruoli medi o piccoli. Sono paghe, insomma, da Contratto Collettivo Nazionale di Secondo Lavoro, per non dire “di Hobby”. Tale, infatti, saranno obbligati a considerarlo i giovani, ma non solo, che non potranno ricoprire ruoli da protagonista. E questo inevitabilmente si ripercuoterà ancor più di oggi sulla qualità delle opere, in cui protagonisti professionisti si troveranno circondati da comprimari non professionisti. Ciò anche perché in Italia manca del tutto il sistema di Paesi come la Francia, in cui le paghe minime sono solo una parte di un ben più solido impianto di welfare. Si è persa insomma l’occasione di stabilire una unità e solidarietà di categoria mettendo tutti sullo stesso piano a prescindere dal ruolo, come avviene peraltro nei contratti del Doppiaggio e della Prosa (in cui lunica distinzione è di esperienza nel caso di attor giovanee non di ruolo).

A proposito di tavoli aperti, avete partecipato recentemente agli Stati Generali dello Spettacolo. Cosa è scaturito da questo evento?

Ci si è confrontati sulle diverse questioni attuali. Da parte nostra abbiamo portato proposte che sosteniamo già da tempo, come distinguere i fondi e i requisiti di accesso tra cinema industriale e cinema autoriale, un ripensamento dei meccanismi di finanziamento del teatro perché risultino accessibili anche a compagnie più piccole, una revisione dei meccanismi di composizione delle commissioni selettive perché vengano sorteggiate ogni volta dopo la presentazione delle domande, una distinzione tra teatro professionale e teatro amatoriale nei bandi e nella consapevolezza del pubblico e l’affidamento dell’insegnamento del teatro nella scuola pubblica ai professionisti e non agli amatoriali come accade ora. Crediamo che sia necessario ricostruire dalla base una cultura sociale delle professioni dello spettacolo come altamente qualificate. La nostra professione, poi, più delle altre, spesso non viene vista come tale, ma come fosse un divertimento. Non se ne conosce la realtà fatta di lavoro discontinuo e privo di tutele sociali di base accessibili come in ogni altra professione. Un’altra misura importante sarebbe l’istituzione di Licei dello spettacolo sull’esempio dei paesi anglosassoni. Aiuterebbe a offrire una formazione generale fin dal liceo per scegliere cosa approfondire poi nelle successive accademie e anche a preparare un pubblico di domani più consapevole e appassionato.

Al centro dell’evento c’era il problema tax credit. Ora, considerando che il vostro movimento si rivolge agli interpreti dello spettacolo, cosa comporta il tax credit per la categoria?

La prospettiva introdotta dal nuovo Decreto è una riduzione dei film che si produrranno con conseguente diminuzione del lavoro per tutti. Nelle premesse della riforma mi sembra che si nasconda qualche equivoco. Ovviamente è giusto intervenire per evitare sprechi ed abusi, ma non è il risultato ottenuto in sala il metro per individuarli. Innanzitutto perché il principio del sostegno pubblico alla produzione di cinema ha una ratio che non è commerciale, ma culturale, ed è un principio europeo: l’eccezione culturale, appunto. Poi perché della vita e dello sfruttamento di un film la sala rappresenta solo il primo passaggio, lo sfruttamento di un film dura moltissimi anni ed è pieno di esempi di successi maturati nel tempo. Ma poi ancora perché non si può tralasciare che film di grandi gruppi con enorme budget di distribuzione e promozione e film di micro, piccole e medie imprese con budget distanti anni luce dai primi, con le regole attuali vengono messi a competere su uno stesso terreno di gioco, quello dell’esercizio, già intasato a causa di spazi che continuano a restringersi con la chiusura di sempre più sale. Ed è chiaro che su questi presupposti le produzioni di dimensioni minori partono sconfitte. Credo che l’attenzione andrebbe rivolta, al contrario, proprio al sistema distributivo e di esercizio, per creare spazi distinti e regole diverse per cinema industriale e cinema più di prossimità, in tutti i sensi, perché la pluralità espressiva resti, o meglio torni ad essere, una realtà e un valore. È stata diffusa una narrazione in cui si opponevano cinema industriale e filmini dei matrimoni… tralasciando completamente tutta la mole di cinema, imprenditoriale e autoriale, che ha dato finora da vivere a centinaia di migliaia di lavoratori e ha prodotto le opere che hanno permesso di nascere e crescere agli artisti, agli autori e alle maestranze che poi accedono anche al cinema industriale. Le regole introdotte dal nuovo Decreto privilegiano i grandi gruppi, peraltro ormai in gran parte di proprietà straniera, a discapito delle piccole e medie imprese italiane e si acuisce l’impronta commerciale del sistema, dal momento che si richiede alle distribuzioni di collocarsi tra le prime 20 per risultati economici e alle produzioni di trovare sui progetti l’interesse di quelle distribuzioni. La prospettiva è preoccupante perché prima di almeno altri sei mesi non si ricomincerà a produrre e i film che poi si produrranno saranno meno. Questo decreto inoltre introduce dei tetti sulle paghe eleggibili dei lavoratori che non vengono riconosciute dal tax credit. E anche in questo caso c’è una netta distinzione tra chi è “sopra la lineae chi sotto la linea. Basti pensare che registi, protagonisti, sceneggiatori e produttori esecutivi hanno un tetto di spesa eleggibile per il tax credit di 240 mila euro per singolo film, che in alcuni casi può essere aumentato del 40%, mentre per tutta la troupe e gli attori non protagonisti il tetto di spesa eleggibile è stato previsto nel minimo sindacale maggiorato al massimo del 20%. Con il nuovo CCNL degli attori, come dicevamo, si tratta di paghe che non garantiscono la sopravvivenza, anche se aumentate del 20%, e su questo punto, oltre che sul resto, come Registro Attrici Attori Italiani abbiamo scritto insistentemente al Ministro e al Sottosegretario.

La speranza rimane sempre quella che le Istituzioni possano intervenire per risolvere i problemi ma, ci chiediamo, la collettività, intesa come società, come potrebbe aiutare gli interpreti dell’intrattenimento?

Ha toccato un punto centrale. La categoria degli attori sconta molti pregiudizi e sentirla dichiarare difficoltà o mancanza di tutele sociali mediamente viene percepito come una pretesa ingiustificata. Questo tipo di retro pensiero in molti Paesi non esiste, perché si ha una conoscenza e una cultura molto più reale dell’arte e della vita dell’artista e perché li si considera una componente fondamentale della comunità. In Italia questo rapporto si è perso, gli artisti sono visti spesso solo come privilegiati e i risultati desolanti al botteghino della grandissima maggioranza dei film italiani più pubblicizzati, quelli della cosiddetta produzione industriale, indicano che la comunità ha perso fiducia in quello che il cinema sa offrirle e ne ha preso le distanze. Credo che questo dovrebbe essere il vero punto su cui poggiare la riflessione. È necessario ridare ossigeno alla produzione, con un sistema più aperto e pluralista di accesso ai finanziamenti in una direzione opposta a quella che si sta invece attuando. La chiave credo che sia la distinzione tra un fondo per il cinema dei grandi gruppi e un fondo crescita cinema per le produzioni davvero indipendenti, con quest’ultimo che preveda commissioni selettive sempre diverse e sorteggiate dopo la presentazione delle domande e la messa a a sistema di un circuito di sale che ne distribuiscano i film prodotti. In questo modo si tornerebbe a produrre un cinema più vario, più libero, riportando progressivamente in sala quell’ampia fetta di pubblico cinefilo che da tempo la ha ormai abbandonata perché troppe volte è rimasto deluso. Insomma la partecipazione della collettività al sistema cinema, il cinema non può pretenderla, ma deve saperla meritare. Credo che dobbiamo augurarci tutti che la politica colga l’importanza, culturale ma anche industriale e occupazionale, di ripensare in questa direzione un sistema che, fatta eccezione naturalmente per pochi grandi autori ed episodi sporadici, in buona parte ha dimostrato di essere da molto tempo in un vicolo cieco, sempre meno sostenibile.

Per approfondire:

RAAI

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Alessia Mancini