Silvia Romano, bufera sul mondo della cooperazione internazionale
Valanga di polemiche sulla liberazione di Silvia Romano.
Sotto inchiesta la Onlus Africa Milele, accusata di averla”mandata allo sbaraglio”.
Da quando Silvia è stata liberata la vicenda ha suscitato innumerevoli polemiche. Ciò che è emerso con più prepotenza è stato il risentimento che in molti hanno mostrato di nutrire nei confronti delle associazioni di volontariato e dei propri operatori, spesso definiti”buonisti” e “ipocriti”. Di questi tempi si ha infatti la sensazione che per una buona parte dell’opinione pubblica l’esigenza di aiutare il prossimo risponda più ad un capriccio da”radical chic” piuttosto che ad una sincera vocazione umanitaria.
Ne parliamo con Guido Barbera, presidente del CIPSI, un coordinamento nazionale, nato nel 1985, che associa 37 organizzazioni non governative di sviluppo(ONGs) ed associazioni che operano nel settore della solidarietà e della cooperazione internazionale.
La Onlus “Africa Milele” è stata accusata di non aver fatto abbastanza per mettere in sicurezza Silvia Romano. Quali sono le regole che una associazione deve rispettare per garantire l’incolumità dei propri collaboratori che operano in territori a rischio?
“Non è facile rispondere a questa domanda. Io credo che la questione chiave non sia tanto che cosa devono fare le associazioni per preparare i propri collaboratori, dovremmo piuttosto fare una riflessione su chi sono i volontari. In questi anni abbiamo assistito ad una trasformazione delle associazioni. Fino agli anni ’80 era chiara la matrice valoriale e culturale del volontariato e della cooperazione volta a ribadire i valori dei diritti umani. Con i finanziamenti si sono poi avviati grossi progetti che hanno rischiato di trasformare le associazioni in aziende che lavorano solo per realizzare i suddetti progetti. Io credo in un volontariato e in una cooperazione che non si traduce in una mera esecuzione di progettualità, ma che è destinata alla costruzione di una vera civiltà. Il ruolo del volontario oggi è proprio quello di costruire dei ponti fra i cittadini. Quindi certamente la questione della sicurezza non è da sottovalutare e garantirla ci richiede una preparazione e una profonda conoscenza dei territori e degli usi e costumi dei popoli che li abitano , ma come ho già detto non è il problema chiave.”
Sono stati tantissimi coloro che si sono scagliati contro Silvia la cui liberazione sarebbe costata alle tasche degli italiani milioni di euro. Da quando, secondo lei, aiutare il prossimo è diventato motivo di biasimo?
“Da quando stiamo rompendo la relazione umana che è scomoda al modello di sviluppo che stiamo promuovendo. Lo sviluppo che stiamo costruendo è indirizzato al beneficio di pochi. Il divario fra i cittadini che sono sempre più ricchi e le masse che sono sempre più povere cresce in maniera vertiginosa di anno in anno. La vera cooperazione tende a garantire il benessere, i beni essenziali e pari diritti e opportunità per tutti. Queste sono tutte cose che cozzano contro questo processo che mira all’accumulo di ricchezze appannaggio di pochi. Le associazioni, che hanno da sempre come obiettivo quello di costruire un mondo in cui tutti possano godere degli stessi diritti, sono diventate scomode a questo modello di sviluppo.
Si ha la sensazione che in Italia già da tempo si respiri un atteggiamento di diffidenza nei confronti della cooperazione internazionale e del volontariato.
L’ONU nel novembre del 2018, in relazione al caso Aquarius, utilizzò parole fortissime nei confronti dell’Italia accusandola di portare avanti una continua campagna diffamatoria ai danni delle ONG. Crede che la criminalizzazione delle ONG da parte dell’Italia sia purtroppo figlia del momento storico e politico che stiamo vivendo?
“Più che ritenerla figlia di questo momento storico e politico credo che sia il risultato di un percorso che si è articolato negli ultimi decenni ed è lo stesso che ci ha portato ad avere questa politica.
E’ un percorso contrassegnato da un impoverimento culturale progressivo, dalla rottura del percorso educativo e formativo dei giovani e della relazione essenziale che nasce nella famiglia e che poi cresce nel percorso scolastico. Oggi il degrado delle relazioni all’interno della famiglia è sotto gli occhi di tutti. Se prendiamo poi in esame il rapporto fra la famiglia, la scuola e il territorio abbiamo esempi continui di
spaccature e di conflittualità che portano a un impoverimento culturale oltre che ad un’incapacità di pensiero critico e di riflessione. Per questo ci lasciamo così facilmente influenzare dai media e dai social e lasciamo che le notizie vengano strumentalizzate. Questo è avvenuto nel caso di Silvia Romano e avviene costantemente in relazione al tema dell’immigrazione. Pensiamo a tal proposito a quante bestialità vengono dette costantemente con il solo scopo di creare la paura dell’altro, del diverso.”
Le associazioni che si occupano di volontariato e di cooperazione internazionale, come ha giustamente evidenziato il Dr. Barbera, sono certamente scomode al modello di sviluppo imperante destinato a garantire il benessere di una ristretta élite di persone.
Un modello di sviluppo in cui il consumismo sfrenato, la costruzione di ricchezze destinate a pochi e la desertificazione emotiva e culturale non possono che procedere di pari passo con un esasperato individualismo che non lascia spazio ad alcuna dimensione sociale e collettiva. Tutto ciò che non rientra nella propria sfera di interesse non viene contemplato e fare qualcosa per gli altri che esuli dal proprio tornaconto per molte persone è semplicemente inconcepibile. In una società che ci vuole sempre più menefreghisti e che ci incita ad anteporre le nostre ambizioni e le nostre necessità davanti a tutto e tutti, coloro che si prodigano per il prossimo destano sospetto, e diventano oggetto di scherno e persino di odio, come avvenuto nel caso di Silvia.
La verità è che il diverso, l’altro non solo ci fa paura, ma ormai non c’è più posto per lui all’interno delle nostre vite narcisistiche ed è forse proprio questo uno degli aspetti più preoccupanti dell’intera faccenda.
Un pregiudizio infatti si potrebbe spezzare seppur con fatica, ma l’indifferenza è decisamente un nemico molto più insidioso da combattere.