Taiwan e Cina – Viaggio tra le ferite della storia

Taiwan e Cina – Viaggio tra le ferite della storia

In Oriente Davide ha sfidato Golia; comprendere le radici di un lontano conflitto dal sapore rivoluzionario

Le elezioni del 13 gennaio hanno ribadito la volontà del popolo taiwanese: riuscire ad affermare la propria esistenza svincolandosi dalla grande Cina. Il piccolo Paese all’ombra del gigante ed il loro difficile rapporto raccontati a seguito di una guerra civile non ancora metabolizzata

La storia è sempre storia contemporanea, diceva Benedetto Croce, volendo ricordare quanto sia indissolubile il legame che collega ciò che accade oggi con i fatti di ieri!

kanterne cinesi di notte, immagine con molto rosso e blu
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Il passato è una forza dirompente che può essere immaginata come se fosse vento che si insinua nel presente: accarezzandolo con dolcezza o sferzandolo con violenza. Non è sempre facile scorgere l’uno o l’altro perché si fondono insieme e diventano un continuum indistinto. Capita però, a volte, di assistere a scelte storiche che non lasciano spazio a dubbi e che mostrano con chiarezza quanto carico di dolore un popolo sia riuscito a trasmettersi di generazione in generazione, come per le votazioni taiwanesi svoltesi ad inizio anno.

Il 13 gennaio, infatti, gli uomini e le donne di Taiwan sono stati chiamati al voto ed hanno scelto di ribadire la posizione che li frappone alla vicina Cina. La piccola isola si è espressa ed ha votato – e premiato – il leader del Partito progressista democratico (Dpp) Lai Ching-te che, con il 40% delle preferenze, ha scelto di rimarcare la propria indipendenza dalle ingerenze e pressioni cinesi.

Il vento di Taiwan ha scelto la sua direzione ma, a questo punto, cosa accadrà quando incontrerà il grande muro cinese? Purtroppo, tra i due Paesi i dialoghi sono, da tempo, pressoché assenti e il motivo principale è che entrambi sostengono di rappresentare democraticamente la Cina; i fatti del passato si sono trascinati fino ai nostri tempi e – probabilmente – saranno destinati a perdurare.

Per comprendere meglio è richiesto un piccolo passo indietro nella storia (siamo nel 1992) quando Lai Ching-te non accetta di firmare e sottoscrivere un accordo su un’unica Cina; sarà proprio quella firma mancata a rafforzare l’astio tra Taiwan e Cina continentale come espressione dell’ennesima occasione mancata in un comune accordo. Una è la costola dell’altra – gemelle siamesi dal punto di vista linguistico e culturale – che si sono scisse con uno strappo violento pur rimanendo irrimediabilmente legate. Ciò che separa fisicamente l’isola taiwanese dalla costa cinese continentale sono 150 Km – circa – di acqua salata (lo Stretto di Formosa), una distanza che ricorda continuamente a Davide quanto sia vicino ed ingombrante il gigante Golia.

È bene ricordare che il conflitto tra questi Paesi ha origini lontane infatti dal 1949 esistono, a tutti gli effetti, due Cine: la Repubblica popolare cinese governata dal Partito Comunista e la Repubblica di Cina (nome de facto dell’attuale governo di Taiwan). Proprio quell’anno si afferma nella Cina continentale il Partito comunista di Mao Zedong, viene istaurata la Repubblica Popolare cinese e lo stesso assume la carica di leader.

Mao ed i suoi seguaci, infatti, combattono una guerra civile sostenuti dal popolo più povero – quello rurale per essere più precisi – spodestando il governo nazionalista di Chiang Kai-shek (appoggiato dalle forze occidentali, in particolare gli Stati Uniti d’America, che volevano controllare la grande Cina). Sono gli anni della Guerra fredda e ogni scelta geopolitica comporta un braccio di ferro, più o meno evidente, tra USA e URSS. Gli sconfitti di questa rivoluzione proletaria (Chiang Kai-shek e seguito) fuggono e trovano riparo nell’isola di Formosa – attuale Taiwan – nella quale proclamano la Repubblica di Cina. Da questo momento storico inizia la contesa che, tra alti e bassi, continua a persistere anche oggi.

Le due Cine continuarono, di fatto, a professarsi ognuno come l’unica e vera Cina con gravi ripercussioni anche a livello internazionale. Certo la comunità internazionale non aiutò la distensione: va, infatti, ricordato, che non tutti i Paesi NATO assunsero le stesse posizioni in merito. Se da un lato, Stati Uniti e Canada – per esempio – vedevano la Repubblica di Cina (attuale Taiwan) come la vera beneficiaria del veto permanente; sul fronte opposto si schierarono Paesi come la Gran Bretagna o la Francia (a citarne alcuni) che consideravano ufficiale la Repubblica Popolare cinese, perché nata dalla volontà popolare di libertà ed indipendenza.

A pagarne le conseguenze maggiori fu una comunità che non riuscì mai più a risaldare quel legame naturale che legava e lega due popoli, più che fratelli.

bandiera di Taiwan dipinta su muro di mattoni
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Chissà se Lai Ching-te e Xi Jiping (presidenti rispettivamente di Taiwan e della Cina) riusciranno mai a superare questa diatriba. Preoccupa proprio che il presidente cinese Xi Jiping abbia continuato a ribadire – appena dopo aver ricevuto i risultati elettorali taiwanesi – che nulla è cambiato, sconfessando a parole la validità di tali libere elezioni e mostrando l’ennesimo atteggiamento di chiusura a qualsiasi mediazione o compromesso. Si avverte la necessità di personalità politiche diverse, capaci di fare tesoro dal passato e costruire un futuro privo di risentimenti che, ad oggi, sembrano mancare.

Ciò che dobbiamo augurarci è che la situazione si mantenga, seppur non risolta, almeno stazionaria perché significherebbe una non reciproca ingerenza politica e territoriale in attesa di quella classe politica finalmente pronta ad affrontare una sfida di tale portata.

Per approfondimenti sulla politica internazionale ti invitiamo a leggere un precedente articolo dal titolo L’America nei due conflitti più importanti:accordo o disaccordo.

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Ludovica Cassano