Un Sistema Sanitario Poco Nazionale
Indaghiamo sulla salute del nostro Sistema Nazionale Sanitario e sulle differenze che appaiono sempre più nette tra le varie Regioni del Bel Paese; meno equo e sempre più regionalista.
In questo articolo si cerca di analizzare la distribuzione dei Fondi Nazionali Sanitari (2019-20) mostrando una serie di cifre che generano più di qualche perplessità e pongono un interrogativo: siamo davvero tutti uguali di fronte al diritto alla salute? I dati tra le varie regioni confermano più di un’anomalia in tal senso.
La Costituzione Italiana all’ Art.32 recita che “La Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
In altri termini, la nostra carta costituzione parla chiaro e stabilisce che la salute non può né deve essere appannaggio del reddito individuale o della collocazione territoriale, esprimendo la più alta forma di uguaglianza sociale.
Tutto idealmente molto bello a dirsi anche se, ormai, sembrano solo parole infatti ci si dovrebbe chiedere: possiamo realmente esserne fieri? Siamo davvero nel solco di questi principi?
Negli anni, atteggiamenti a dir poco scellerati – a livello legislativo e normativo – hanno portato ad un progressivo indebolimento del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) a discapito del Sistema Sanitario Privato. Ciò che colpisce maggiormente è come vengono distribuiti i fondi necessari per la sussistenza stessa del SSN a livello regionale.
Con la maggiore autonomia a livello territoriale alle Regioni è spettato il compito di “regolamentare e organizzare servizi ed attività destinate alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) e delle aziende ospedaliere”.
Analizzando i dati relativi al 2019/20 possiamo vedere chiaramente come sono stati distribuiti i fondi stanziati dal Governo verso le Regioni italiane e immediatamente salta all’occhio che c’è un netto divario da regione a regione. Tale differenza si afferma in modo sempre più marcato se consideriamo il gap che regna tra Nord, Centro e Sud Italia. Una discrepanza a dir poco scandalosa che non solo non considera il sopra citato Art.32 ma addirittura sembrerebbe confutarlo.
Infatti analizzando alcuni dati, tra i quali quelli forniti dall’ OCPI – Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani – in un’ analisi fatta per l’Università Cattolica del Sacro Cuore da Federica Paudice (Policy Expert presso European Banking Authority), con i suggerimenti del Professor Gilberto Turati (docente di Finanza Pubblica all’Università Cattolica Sacro Cuore) si possono enunciare una serie di considerazioni importanti.
Prima di tutto occorre dire che la ripartizione dei fondi viene stabilita in relazione ad un algoritmo matematico che prende in considerazione vari parametri tra i quali il totale della popolazione delle varie Regioni corretto per l’anzianità presente in ognuna di esse. Quindi considerando la percentuale di anziani residenti in quel dato territorio, il valore ottenuto sarà un importo (pro capite) che entrerà nelle casse della Regione di destinazione attraverso il Fondo Nazionale Sanitario che tiene in conto la popolazione complessiva e, appunto, la percentuale di anziani. Ne consegue che una Regione con l’incidenza di anziani maggiore riceverà più fondi rispetto ad altre (a parità di numero totale di popolazione).
La Regione che ha percepito la somma pro capite maggiore risulta la Liguria, rinomata per avere la percentuale di anziani maggiore, e svetta con i suoi 127 euro (cifra decisamente al di sopra della media nazionale), poi troviamo il Molise che si è attestato ben al di sotto con 56 euro ma ancora peggio è il valore della Basilicata con i suoi 37 euro pro capite. Si può notare immediatamente che esiste una discrepanza molto marcata sia in termini assoluti che relativi ma la situazione si complica ulteriormente se vengono considerati altri parametri.
Se prendiamo in esame la situazione della Campania noteremo una cifra di 59 euro che la colloca in una posizione di bassa classifica in termini di aiuti economici. Il Governatore della Campania, De Luca, aveva fatto notare che la sua Regione soffriva il paradosso di essere tra le Regioni più giovani d’Italia ricordando che la distribuzione del FNS era stato concepito per tenere conto non solo dell’anzianità della regione ma anche della sua deprivazione sociale. Considerando quest’ultimo dato, infatti, la Campania presentava una forte incidenza di patologie infantili e giovanili (obesità, problemi alimentari, alcolismo e tossicodipendenza) tanto da “perdere” circa 300 milioni di euro di FNS in modo, a suo dire, irrazionale.
Proprio questa deprivazione sociale (da intendersi anche in termini di svantaggio dal punto di vista dell’istruzione, lavoro, livello abitativo e delle condizioni familiari) risulta essere un dato significativo da tenere in considerazione; ma – in realtà – non sembra mai essere stato preso in esame e questo, se possibile, è ancora più grave. Stabilendo una sorta di livello di partenza regionale risultante, alla luce delle differenze socioeconomiche, non veritiero se non addirittura paradossale. Questa considerazione, sommata ai dati precedentemente citati, deve farci riflettere e non poco sul “virtuosismo” del nostro SSN.
Il divario territoriale presente nel nostro Paese si evince in modo ancora più marcato a partire dal report fornito da Crea Sanità (Centro per la Ricerca Economica applicata alla Sanità) nella sua XI edizione del 2023. Crea Sanità stila la sua classifica sulla funzionalità del Sistema Sanitario Nazionale partendo da sei elementi: appropriatezza, equità, sociale, esiti, economico-finanziari e innovazione.
Dall’analisi dei singoli risultati – e poi dalla loro somma – abbiamo un’Italia spaccata in due macro-aree: circa 29 milioni di cittadini che vivono nelle 8 Regioni “più virtuose” possono usufruire di una sanità efficiente mentre per l’altra metà della popolazione la situazione è molto più difficile perché non sono stati soddisfatti tutti gli elementi sopra citati.
In pole position troviamo Veneto, Trento e Bolzano (che superano il 50% ottenibile; rispettivamente 59%, 55% e 52%), subito dopo appaiono – ad un livello medio – Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia e Marche (con valori compresi tra 47% e 49%).
Seguono le Regioni più in difficoltà con il raggiungimento degli obiettivi minimi e vediamo Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Umbria, Molise, Valle d’Aosta e Abruzzo (con valori compresi tra 37% e 43% quindi lontani dalla soglia minima) e come fanalini di coda di una Penisola non equa appaiono tutte le altre regioni con valori inferiori al 32%. Quindi chi vive in Sicilia, Sardegna, Puglia, Basilicata, Campania e Calabria non può contare su un SSR funzionale.
Si nota, quindi, in modo molto marcato che le cifre ottenute tramite il FNS non sono distribuite secondo una logica di potenziamento economico delle Regioni “più in difficoltà” e ciò rischia, drammaticamente, di accentuare questo dislivello tra Nord e Sud Italia.
Questo quadro appena presentato, sommato ai tagli che, in nome dell’Austerity, vengono stabiliti ormai da tempo, ha condotto lo Stato a non potersi più definire adempiente nei confronti della propria Costituzione. Una riflessione deve essere fatta anche in relazione alle richieste federaliste della maggior parte delle Regioni a trazione leghista che vorrebbero allargare, se possibile, questo divario e creare sempre più cittadini di serie A e B.
Riflettiamo, dunque, se questo sia il giusto modo di affrontare la questione relativa alla salute nel nostro Paese o se l’approccio andrebbe completamente rivisto.
Dobbiamo dirci che prima di tutto si tratta di tutelare sul piano sostanziale la salute dei cittadini e delle cittadine italiane, ricordandoci che è formalmente sancita e protetta quale diritto fondamentale e universale.