Vivere in un ecovillaggio, realtà o semplice utopia?
L’emergenza sanitaria globale ha determinato in molti l’esigenza di un ritorno alla natura
Le città del futuro potrebbero non somigliare più alle metropoli tentacolari a cui siamo abituati, ma trasformarsi in piccole comunità sostenibili autosufficienti e a basso impatto ambientale.
La quarantena ci ha costretti a spezzare una routine consolidata da anni e della quale in alcuni casi eravamo diventati schiavi inconsapevoli. Quella stessa società che ci ha sempre incitato a correre senza sosta per la prima volta ci ha implorato e obbligato a fermarci. Ci è stato imposto di abbandonare i ritmi serrati a cui eravamo abituati e di mettere in pausa le nostre vite. Dopo un primo momento di shock abbiamo iniziato a riflettere, a meditare e a riappropriarci di tutto quel tempo di cui eravamo stati privati fino a quel momento. Di tutte le ore passate nel traffico, a lavoro, ad accompagnare i nostri figli dalla scuola alle innumerevoli attività extrascolastiche.
Ora che il lockdown è finalmente giunto al termine, molti di noi ritorneranno a incastrare le proprie vite negli ingranaggi di routines rassicuranti, ma per molti altri la vita dopo la quarantena non sarà più la stessa.
Sono in tanti infatti coloro che hanno messo in discussione uno stile di vita malsano a cui per troppo tempo si erano assuefatti. Il coronavirus in questo senso potrebbe averci regalato una grande opportunità e potrebbe aver realmente creato le condizioni per un cambiamento radicale. Si è parlato moltissimo della natura che durante il lockdown è stata finalmente in grado di riprendersi i propri spazi.
Le foto delle acque limpide dei canali di Venezia, degli animali selvatici che scorrazzavano liberamente per i centri abitati sono diventate virali e ci hanno mostrato quanto il cambiamento in realtà sia possibile, quanto quella che credevamo fosse solo un’utopia potrebbe realmente concretizzarsi se ognuno di noi facesse la propria parte. La voglia di riorganizzare la propria vita è forte così come il desiderio di riconciliarsi con la natura.
Gli Ecovillaggi in questo senso rappresentano una delle soluzioni più interessanti che potrebbero rispondere alle esigenze di coloro che desiderano dare una svolta al proprio modo di vivere.
L’espressione “ecovillaggio” è stata utilizzata per la prima volta nel 1991 da Robert Gillman. Le sue radici risalgono però agli anni ’70 quando si sviluppò il movimento comunitario hippie. Con il passare degli anni le comuni hanno subito una trasformazione ed è venuto meno lo spirito di ribellione nei confronti del conformismo borghese che ne costituiva uno dei valori fondanti. A differenza degli abitanti delle comunità degli anni ’70, che erano per lo più giovani che si ispiravano ai valori della beat generation e dell’amore libero, coloro che vivono negli ecovillaggi rappresentano un gruppo eterogeneo di persone che, spinte dalle campagne di sensibilizzazione su tematiche ambientali, hanno deciso di vivere insieme per dar vita a un mondo migliore.
Attualmente in Italia esistono una trentina di ecovillaggi associati al RIVE, la Rete Italiana dei Villaggi Ecologici, nata nel 1996. Oltre a questi, ve ne sono altri presenti sul territorio, ma tenerne il conto non è facile in quanto si tratta di realtà in costante divenire e inoltre si è stimato che la metà dei progetti è destinata a fallire nell’arco di tre anni.
Sebbene non sia facile dare una definizione univoca di cosa sia un ecovillaggio, comprendendo questo diversi tipi di comunità e progetti, secondo il direttore esecutivo del “Global Ecovillage Network” Kosha Joubert lo si potrebbe descrivere come “una comunità, urbana o rurale, che è progettata in modo tale da risanare il proprio ambiente sociale e naturale attraverso processi partecipativi che tengano conto delle quattro sfere della sostenibilità: sociale, culturale, ecologica ed economica)” (ndr, dichiarazione tratta dalla conferenza “From Apartheid to Ecovillage”).
Parliamo in sostanza di un modello di sviluppo sostenibile che mira alla totale autonomia delle comunità e che si avvale di energie rinnovabili, fa ricorso a un’agricoltura biologica locale e promuove una generale riduzione degli sprechi.
L’obiettivo è quello di preservare le risorse naturali per le generazioni future, ripudiando l’accentramento abitativo nelle grandi città e favorendo la dislocazione su tutto il territorio della popolazione ripartita in piccole comunità autosufficienti in modo tale da ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente.
Il modo di concepire gli ecovillaggi sembra però destinato ad arrivare ad uno step successivo per così dire. James Ehlrich, imprenditore della Silicon Valley, sta lavorando da più di un decennio all’utopistico progetto Regen, diminutivo che sta per “Regenerative Villages”, che prevede la costruzione di comunità ecologiche all’avanguardia in tutto il mondo. In questi ecovillaggi del futuro le case saranno costruite seguendo i principi dell’eco-sostenibilità e le comunità saranno completamente autosufficienti. La produzione di rifiuti non è contemplata. Tutto sarà riciclabile, neppure la pioggia andrà sprecata. E’ previsto infatti un sistema di stoccaggio che raccoglierà e filtrerà l’acqua piovana per utilizzarla nei campi e nei giardini.
L’obiettivo di questo ambizioso progetto è quello di rivoluzionare non solo il nostro modo di vivere, ma sopratutto il nostro modo di pensare e di approcciarci alla natura e di costruire avanzate comunità ecologiche in cui i nostri figli saranno educati al rispetto del nostro ecosistema.
Alla luce di tutto questo sembra proprio che d’ora in poi la prospettiva con cui guarderemo agli ecovillaggi sia destinata a cambiare. Non potremo più considerarli stramberie da figli dei fiori, ma inizieremo a chiederci se i pazzi fino ad oggi non siamo stati proprio noi.